Italia 2018: l’emergenza sono i vu cumprà
Ho incontrato ieri un ragazzo che vendeva cappelli e ventagli sul lungomare di Crotone. Gli sono passato davanti, appena uno sguardo, e ho continuato la mia passeggiata del mattino.
Poco più avanti mi sono fermato: volevo vedere quante persone come me gli passavano davanti senza dargli retta alcuna. Ho notato che alcuni gli rispondevano anche seccati, ma quasi tutti indifferenti a quel ragazzino. Probabilmente non aveva più di 25 anni, pelle scura, molto tranquillo. Non saprei identificare la nazionalità.
Poco più di un ragazzo. Ma mi è venuto da pensare alla sua solitudine, al suo vivere in un mondo lontano dalla sua famiglia, probabilmente costretto a fare quel lavoro sulle spiagge per sopravvivere, magari maltrattato e umiliato dai “padroni”, spesso italiani senza scrupoli.
Un ragazzino privato dalla sua dignità, senza diritti, senza alcun rispetto, senza tutela alcuna. Poco meno di un invisibile.
E pensavo a quello che mi raccontava mio padre quando nei primi anni 60 emigrò in Svizzera. Tenevano i calabresi lontano dai centri abitati, in baracche coperte di lamiere, sotto il freddo e sotto il grande caldo.
In Belgio i nostri ragazzi finivano nelle miniere, diversi dei quali ci sono anche morti: quello era il lavoro destinato ad un emigrato del sud, a un ragazzo calabrese.
Centinaia di migliaia di calabresi sono oggi nel mondo, agli inizi trattati come bestie, perché “puzzavano”.
«Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri».
Era il 1912, e queste poche righe sono tratte dalla Relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione al Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti.
Questo è successo fino a tutti agli anni 60 nella civilissima Italia, nel nord del paese, dove decine di migliaia di meridionali, di calabresi in particolare, si sono trasferiti in cerca di fortuna, di lavoro, per sfuggire dalla disperazione e dalla miseria. C’erano dei cartelli affissi alle porte delle case in affitto, nel Piemonte della Fiat, come in Lombardia e in tante regioni ricche italiane, dove il boom economico portava tanti soldi e abbondante occupazione. Su quei cartelli c’era scritto: non si affitta ai negri e ai meridionali. Pensavo a quel ragazzo di stamane e pensava al neo ministro degli interni, Salvini, che ha annunciato l’“operazione spiagge sicure”. Adesso l’emergenza è ripulire le nostre spiagge da questi ragazzi che vengono da lontano, sono affamati, vendono cappellini per un paio di euro. Prima gli italiani.
L’emergenza per quest’estate non è la mafia, non è la ‘ndrangheta potentissima, non sono i trafficanti di droga che stanno rovinando intere generazione nel silenzio di tutti; sono i “Vu cumprà”, che da 50 anni colorano le nostre spiagge.
Servono i titoli in prima pagina dei giornaloni, serve Giletti e la sua Arena, serve quindi prendere i Vu cumprà e mandarli via, o almeno nasconderli da qualche parte; servono queste finte emergenze per nascondere quelle vere. Servono i disperati abbandonati su una nave in mezzo al mare.
Buona estate a tutti, buona estate a quei ragazzini che vendono cappelli e qualche collana sotto lo spietato sole di agosto.