Il Vangelo di (un altro) Matteo
Un’eco discreta sui maggiori organi di informazione. Qualche titolo di coda sui distratti telegiornali nazionali. E poi la meraviglia del paese davanti ad un gesto che per la gente del mare è consueto, naturale, indiscutibilmente obbligatorio. A Isola Capo Rizzuto qualche giorno fa (la foto che lo documenta è di Claudio Cometa, ndr) è successa qualcosa di normale, di ordinario, che ha assunto i segni di un gesto straordinario, quasi miracoloso, perché questo nostro paese è ormai abituato a vivere nell’indifferenza, nell’odio verso il diverso.
La propaganda chiaramente razzista di questi ultimi anni da parte di esponenti di primissimo piano della politica nazionale, ha avvolto il paese in una coltre di veleni.
Respirando quei veleni, cibandosi quotidianamente di fake news, temendo un’invasione inventata, alimentando la paura per la perdita di lavoro, preoccupati per le presunte infiltrazioni di presunti terroristi, il risultato è l’indifferenza che si è trasforma in odioso rifiuto. Netto e totale rifiuto.
Ma i calabresi non hanno fatto un grande gesto, tantomeno qualcosa di veramente straordinario. Dalla Calabria è partito un segnale verso il resto del paese, un sonoro ceffone che ha scosso questo paese addormentato, che sembra non reagire più, questi italiani che sono come in putrefazione dentro un sarcofago di odio senza fine. Stiamo affogando nei veleni che non portano mai alla fine, ma provocano una lunga, inesorabile e perenne agonia.
«Correte, correte, correte tutti, c’è gente in mare. Correte, affogano tutti!».
In un giorno tranquillo di un’estate fredda e agitata, quelle urla scuotano immediatamente il torpore semi estivo dei tanti bagnanti che affollano il lungomare della splendida area marina di Isola Capo Rizzuto.
In un lampo, tutti in acqua. Tutti a correre. Tutti a dare una mano. In lontananza stava per consumarsi l’ennesimo dramma del mare. Sono arrivati in 54, ormai allo stremo, sulla spiaggia tra Capopiccolo e Sovereto. Sono siriani e curdi, tra cui tanti bambini e tante donne. Praticamente disidratati, allo stremo. Uno ad uno sono stati immediatamente soccorsi dai bagnini e dai villeggianti di due vicini villaggi turistici.
Tutti stipati a bordo di un veliero nelle vicinanze della spiaggia rossa di Isola Capo Rizzuto. A bordo tanta disperazione, mentre la morte, che attendeva galleggiando sul mare tranquillo, si vede sfuggire 54 ghiotti bocconi! Scattato l’allarme, nessuno ha voluto attendere l’arrivo dei soccorsi. E così i 54 sono stati immediatamente tratti in salvo con mezzi di fortuna. Perfino con gommoni e pedalò. Sono stati i bagnini, i turisti, oltre che i cittadini di Isola che erano sulla spiaggia a fare da salvagente per i migranti. Pianti, gioia, urla, preghiere; poi di nuovo gioia e pianti uditi lungo tutta la spiaggia. Dalla Calabria una pagina di umanità e accoglienza. Non gesta eroiche, ma santa solidarietà: il Cristo non è quello inchiodato sui crocifissi pieni di polvere, fissati sulle parete dei freddi uffici pubblici. Il vero Cristo è quello sbarcato sulla spiaggia di Isola Capo Rizzuto, nei volti e negli occhi di quei bambini che urlavano, di quella povera gente rimasta senza fiato. Nessuna donna aveva le unghie smaltate, perché le pagliacciate non appartengono a chi sta per morire in mare, dopo decine di giorni di un viaggio che si è fatto calvario. Ancora oggi, dopo 5 secoli, vivono in Calabria migliaia di albanesi in fuga dalla loro patria. Hanno fondato decine di comunità, mantengono usi, lingua, tradizioni: sono italiani, sono calabresi, sono prima di tutto uomini. Fratelli. Ecco, i calabresi sanno cosa voleva dire il vangelo in uno dei versetti più significativi: “Signore, quando ti abbiamo incontrato forestiero e ti abbiamo ospitato nella nostra casa, o nudo e ti abbiamo dato i vestiti?”. È il Vangelo di Matteo. Un altro Matteo!