…A colorare libertà
I Villazuk sono uninteressante band folk-rock calabrese. Il nome si presta a ingenue storpiature, e solletica velleità enigmistiche, frustrate dal fitto silenzio che circonda il suo etimo. Un gruppo così originale sulla scena musicale, anche per effetto del nomen omen, non poteva peccare di onomastica prevedibile.
Nulla è scontato in questa giovane formazione, divertita a scollarsi le etichette di dosso e a scavalcare i muri eretti dalla discografia mainstream, che troppo di frequente buca talenti perché guarda alla contaminazione dei generi e alle personalità artistiche non omologate con la mente aperta e il portafoglio blindato.
Ma i cinque amici di VillaZuk, che ancora non hanno un contratto, approdano sulla loro «isola felice» ogni volta che suonano, e vestiti di sola musica, senza sponsor e mecenati, liberano nel vento e in qualunque direzione « il lungo filo di storie e racconti » trascinato da un aquilone a pezze colorate. La loro musica è un inno alla libertà: si occupano di temi di attualità con il linguaggio diretto, ‘pulito’, netto dei giovani di oggi. Non sono una band ‘politica’, ma è forte l’ispirazione sociale e una cultura ‘post’: post ideologica, post sinistra, posto impegno!
Sono degli ‘indignados’: ma la loro forza è quella musica che grida la voglia di nuovo, di cambiamento, di pulizia.
Grazie al pre-tecnologico passaparola prima, al web 2.0 in seguito, sempre più gente ha acquisito familiarità con quellaquilone multicoloured che fende i cieli calabresi: i Villazuk, orfani di manager, etichetta, distribuzione e promozione, sono diventati un fenomeno cult meridionale, a cui guardano i giovani di tutto il Paese, che in pochi mesi ha risalito lo Stivale con destinazione Radiouno Rai e le altre antenne private sensibili alla musica indie di qualità. La libertà, con la quale battezzano la loro prima autoproduzione uscita qualche mese fa, a colorare Libertà, poteva rivelarsi una pericolosa buccia, su cui sono scivolati molti autori tanto è abusata e millantata. Nel cd, reperibile online sul sito della band, o durante i loro live (agosto tutto esaurito! Niente male per un gruppo che non ha risorse, non ha produttore, non ha manager) , si viene morsi, invece, dalla spontaneità di chi sta esprimendo il proprio modo di vivere, di guardare alle cose, e lo fa senza ansie da prestazione commerciali. Quella dei VillaZuk non è una libertà da esposizione resa attraente da uno stylist dei buoni sentimenti e rispondente a logiche di marketing, ma uninsopprimibile esigenza creativa dallaroma persistente e dal gusto autentico.
Le dodici tracce (più quella a sorpresa in tedesco. In tedesco??) lo testimoniano: scorrono fluide grazie alla melodia accattivante e agli arrangiamenti azzeccati. Più il cd invecchia nellautoradio, gli mp3 si rincorrono nellI-pod, e sempre più sfumature inedite, messaggi sussurati, poesie accennate, vengono catturate dallorecchio. E si gode della bellezza dei testi, cruciali per scongiurare che un bel motivetto non si trasformi nel tormentone che allennesimo ascolto si ha la tentazione di rottamare. In sostanza non è un disco ‘leggero’, magari estivo. Tipo ‘senti e getta’. Si tratta di un lavoroimportante per i temi che tratta, per l’impegno che lo attraversa, anche per il parziale recupero di cultura e tradizioni del sud. Ma chi lo ha concepito lo ha saputo fare con quella ‘leggerezza’ che si deve ai temi impegnati per renderli comprensibili a tutti e gradevoli. Ed è per questo che i VillaZuk fanno un’operazione davvero interessante, culturalmente notevole! Hanno un progetto alternativo, invitano i ragazzi alla ‘rivolta’ morale, predicano il ritorno alle cose semplici, alla bellezza della natura, quasi fossero novelli francescani (nel senso del pensiero ‘ambientalista’ di Francesco d’Assisi), ma forse più semplicemente perchè i 5 ragazzi vivono ai piedi dello splendido Altopiano della Sila Grande cosentina. Il loro impegno e il loro ‘manifesto’ non hanno un’etichetta: e questo rappresenta una forza notevole.
Il lavoro dei VillaZuk si snoda lungo la direttrice della sorpresa, che si abbina allindole del gruppo disegnata in apertura.
Si definiscono folk-rock non disdegnando una puntatina allo ska, e poi sono capaci di regalare pezzi di cantautorato che, sfidando la lesa maestà, ricordano le atmosfere di De Andrè, e mi convincono che dietro tale maturità compositiva non ci sono debuttanti naif ma portatori sani di gavetta (ne ho la conferma, apprendendo che il loro pezzo di punta Fiorecrì è stato inserito nellalbum Primo Maggio Tutto lAnno 2007: Non si spiega perché due parole di difesa si traducono in te come stuzzicante offesa. Chi lo ha scritto che i fiumi della razionalità sono rigidi canali, paralleli ad ogni età? Non si sbaglia quando cambi direzione, ma soltanto quando vieti un’opinione lascia stare chi ti ordina di farlo ma rispetta il suo pensiero sopportando.
Hanno unallure metropolitana (traducono e cantano in tedesco Fiorecrì con risultati sorprendenti), ma poi mi smentiscono rifiutando, in Preferisco respirare, la città di Futuristica perché «sulu a ce pensare me sientu morire senz’ u friscu ca a muntagna porte la matina, na iurnata e sule sutta alla jumara. Cicciu sona fischia e canta nu bicchier’e vinu »: una dichiarazione d’amore per la montagna e la natura, che Dodo, splendida voce del gruppo, intona in dialetto calabro-silano (sono di Casole Bruzio-Cs), smussandone le asprezze e compiendo unoperazione culturale che ci riscatta in quei quattro minuti dalla storica subalternità nei confronti della tradizione linguistica napoletana, romana, fiorentina
Cè spazio anche per temi scottanti quali il razzismo, affrontati senza scorciatoie retoriche: Sogno un risveglio da non dimenticare, popolazioni e canti da ballare, scambi d’affetto tra gialli neri e bianchi, mille sapori in uno stesso piatto. Bianco quando sei normale, rosso se ti scotti al sole, scuro una stagione al mare, giallo se ti senti male verde quando sei già morto, pallido se fumi troppo come fai a nominare me … un uomo di colore. Solo un motivo mi lascia da pensare, non c’è ragione io non lo so spiegare, solo sfiducia la pelle mia trasmette: io sono nero non posso lavorare. (Fama nera).
In una recente chiacchierata, il solista mi ha ribadito quanto le passioni, l’amore per la libertà, l’infanzia nella sua amata pre-Sila, il rapporto con gli adorati amici, il suo paese, la gente di strada, siano fonti di ispirazione irrinunciabili per la stesura dei pezzi. In quella occasione, ho anche scoperto lamore immenso per la musica, che pone al primo posto fra le diverse forme darte, e con lui condivido questo e poi anche una profonda ammirazione per la più bella voce del mondo, quella di Mina, che a casa, da piccolo, gli facevano già sentire. La stessa Mina che oggi, dall’alto della sua straordinaria storia che sconfina nella leggenda, si appresta ad ascoltare il cd dei VillaZuk!
Domenico Scarcello, Eugenio Ferraro, Andrea Minervini, Domenico Battista e Carlo De Donato, ovvero i VillaZuk, sono qualcosa in più di una promessa. Sono già grandi, e il bello è che non lo sanno, e sono rimasti veri, vivi, autentici. Fanno ottima musica, lanciano segnali di ‘rivolta culturale’, predicano uno stile di vita semplice, invocano il ritorno alle origini e alla natura, lottano contro le discriminazioni. E già spopolano fra i giovani!
Laquilone di questi straordinari ragazzi raggiungerà quote altissime.