Trasferiamo il Parlamento in tv
Una nutrita schiera di parlamentari, trasversale ai due poli, sta lavorando ad un ambizioso documento nel quale chiede la sollecita revisione di alcuni principi fondamentali della Costituzione. Cè da superare la resistenza dei giudici costituzionali che, poco attenti al mutamento del costume, anche per via delletà, sono già pronti ad agitare le loro interpretazioni ultraconservatrici sui limiti espliciti e impliciti contenuti nella Carta, che di fatto renderebbero intoccabili detti principi. Ma i deputati, risoluti, vanno avanti e hanno già previsto che per lapprovazione del testo finale non saranno necessarie le consuete maggioranze con la coda delleventuale referendum confermativo, ma si ricorrerà al meccanismo del televoto.
Ecco quale sarebbe il nuovo volto della nostra Carta:
LItalia è una repubblica fondata sulla televisione. La sovranità appartiene al telespettatore che la esercita attraverso il televoto. Tutti i cittadini ( in particolare quelli investiti da incarichi istituzionali) hanno diritto ai famosi quindici minuti di celebrità. E compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che la impediscono, garantendo ai meno telegenici trattamenti estetici, corsi di portamento, dizione, canto, ballo, barzellette. Playback e controfigura per i meno dotati.
Il testo, ancora in progress, non è la trovata goliardica di buontemponi interessati a risvegliare i padri costituenti come Gesù fece con Lazzaro. Liniziativa prende le mosse da una seria e meditata considerazione.
Se è vero che abitiamo la società dellimmagine, che la televisione è lo strumento più potente per raggiungere il pubblico, perché non apparire, sfruttando appieno le potenzialità del mezzo? perché non prendere al volo il primo trenino che scorazza negli studi televisivi cingendo i fianchi dei vari tronisti, letterine, veline che godono di una maggiore e indiscussa popolarità?
Da qui la necessità di colmare questo vulnus legislativo per rilanciare la figura del politico.
I benpensanti obietteranno che i politici non sono showmen o soubrette. Ma certi distinguo snob non sono più à la page, specie in unepoca in cui limmagine vince sulla parola, la forma sui contenuti. Non apparire nella scatola equivale a non esistere: si è apolidi per i mass-media, dunque per la società.
Molti firmatari del documento non hanno più pudore ad ammettere che si sentono vivi solo con una telecamera puntata addosso. Per questo, sono disposti a farsi sbeffeggiare da intervistatori cinici, a ballare assumendo pose non propriamente plastiche, a storpiare motivetti, ad improvvisarsi giardinieri, contadini, fuochisti, macchinisti, uomini di fatica. Questa duttilità è anche un modo per mostrare che in fondo un politico è un cittadino come gli altri (ammesso che il cittadino medio accetti questa verosimiglianza).
La filosofia del purché se ne parli li ha sedotti. E non fa scandalo se i deputati talvolta salgono alla ribalta per temi non propriamente adeguati a quella che dovrebbe essere la figura e lattività di un legislatore. La loro agenda politica rischia ormai di confondersi con quella di un opinionista di un talk rissoso.
Se imparassimo ad accogliere i cambiamenti senza pregiudizi e sovrastrutture, evitando di intonare limmancabile filastrocca sui valori, si potrebbe emendare la suddetta proposta con un atto più coraggioso: trasferire le sedi istituzionali negli studi televisivi. Sarebbe un virtuoso abbattimento di costi: luce, riscaldamento, pulizie, per aule spesso vuote incastonate in palazzi con superfici troppo estese rispetto alle esigenze degli utenti. Per molti colleghi, non sarebbe un cambio brusco: la loro insistente presenza sui media per dibattere di temi non strettamente politici ne fa già a tutti gli effetti dei lavoratori co. co. co. delletere.
Questo lo spirito del disegno di legge. Queste le indicazioni per diventare popolari. Tuttaltra storia essere politici autorevoli e di successo.