Mattmark, una tragedia da non dimenticare!
Lavoravano come bestie, i calabresi ‘fuggiti’ in Svizzera, dopo un viaggio senza fine, in condizioni disumane.
Il 30 agosto del 1965, esattamente 50 anni fa, una grande tragedia dell’emigrazione. In Svizzera, dove decine di migliaia di italiani, calabresi in particolare, erano emigrati alla disperata ricerca di guadagnare un pezzo di pane per le famiglie in miseria, e precisamente e Mattmark, una valanga composta da due milioni di metri cubi di ghiaccio, cancellò in un istante, tutto quello che incontrava: case, strade, baracche… E seppellì un centinaio di lavoratori emigrati, gran parte italiani, che stavano edificando una diga di dimensioni mai viste prima!
Tra i lavoratori seppelliti da una montagna di ghiaccio, c’erano 56 italiani. E tra questi anche 7 calabresi, tutti di San Giovanni in Fiore, che di lavoratori in Svizzera ne aveva già spedito almeno 3 mila in pochi anni! I nomi di quei ragazzi che non sarebbero mai più tornati in Sila: Giuseppe Audia, Gaetano Cosentino, Fedele e Francesco Laratta – padre e figlio –, Bernardo Loria, Antonio Talerico, Salvatore Veltri
‘Quando i migranti eravamo noi’, nessuno piangeva i nostri morti sul lavoro. Nessuno protestava per le terribili condizioni di vita che dovevano sopportare, l’isolamento e il maltrattamento a cui erano sottoposti, perchè italiani, perchè del sud, e poi perchè calabresi: considerati ultimi degli ultimi!
A Mattamark i calabresi vivevano in baracche poste sotto il ghiacciaio, non avevano accesso ad alcun servizio, non potevano reclamare diritti, non potevano di fatto uscire da quello steccato, da quel muro, che era il cantiere, le gallerie, le baracche.
Lavoravano come bestie, i calabresi ‘fuggiti’ in Svizzera, dopo un viaggio senza fine, in condizioni disumane.
Non c’era il mare, non c’erano i barconi, ma c’erano tanta disperazione e tanta angoscia per decine di migliaia di calabresi che avevano raggiunto le Americhe e l’ Europa per evitare la miseria per loro e soprattutto per i loro cari, rimasti tutti a casa ad aspettare. Ad aspettare di non morire!
A Mattmark lavoravano più di mille persone.
Quel drammatico 30 agosto 1965 accadde la tragedia che nessuno aveva immaginato: «Niente rumore. Solo, un vento terribile e i miei compagni volavano come farfalle. Poi ci fu un gran boato, e la fine. Autocarri e bulldozer scaraventati lontano», ha raccontato uno dei sopravvissuti.
E poi Giuseppe Cleber, friulano, figlio di una guida alpina, sentiva forte il pericolo a cui erano sottoposti gli emigrati: “Ragazzi, se quel crostone di ghiaccio si stacca noi qui facciamo la morte del topo. Io di montagne me ne intendo. Io so che quando un ghiacciaio fa il vuoto sotto, non c’è da
fidarsi. E quel ghiacciaio lì, sulle nostre teste, aveva un vuoto
sotto che faceva spavento”.
Nessuno gli diede retta. Fino alle 17,15 di quel 30 agosto del 1965. In quel momento, un terribile boato, la valanga che avanza inesorabilmente, la devastazione e la morte.
I corpi dei poveri lavoratori sepolti dalla valanga, furono recuperati dopo mesi di lavoro e ricerca!
Come a Marcinelle, come in tanti altri posti dove gli emigrati morivano sul lavoro, nelle miniere, sulle strade, nei porti e ovunque c’era un cantiere. Nessuna norma di sicurezza, nessuna certezza, nessun diritto per gli emigrati.
Perchè ‘quando i migranti eravamo noi’, c’era sempre qualcuno che gridava contro quelli che rubavano il lavoro, contro quella gente sporca, nera di pelle, semi analfabeta, che metteva a rischio le certezze dei ricchi e dei benestanti. Per loro, brutti, sporchi e cattivi, non c’era pietà, non c’era alcuna considerazione.
Per i poveri lavoratori sepolti dalla valanga, non ci fu nemmeno il diritto ad avere giustizia. Dopo anni di indagini, dopo un rabberciato processo penale a carico di 17 persone accusate di omicidio colposo, dopo un primo e secondo grado di giudizio, ci fu una scandalosa assoluzione, ed una ancora più scandalosa condanna dei familiari delle vittime al pagamento delle spese processuali.
Nessuno se l’è mai sentita di chiamare in causa la Svizzera, nemmeno dal punto di vista ‘politico’. Non c’è mai stato un governo, o uno straccio di istituzione nazionale, che avesse chiesto conto alla Svizzera degli anni ’60, per come sono stati trattati gli emigrati italiani nella confederazione. I quali rischiavano la morte ogni giorno per alimentare il boom economico elvetico, venivano discriminati, mortificati, costretti a lavorare senza sosta per 15-16 ore al giorno, per 7 giorni su 7, senza sicurezza, senza rispetto per la dignità umana.
Mattmark fu l’ultima grande sciagura legata all’emigrazione. Allora si scappava per fame, miseria, disperazione.
Oggi si continua a scappare dai propri paesi, dalle proprie nazioni: per sfuggire alle guerre, alla fame, alle carestie, alle mattanze. E sono soprattutto donne e bambini a tentare la fuga, nella speranza di poter trovare altrove, nella ricca e benestante Europa, la possibilità di non morire, di sfuggire alle devastazioni e alle guerre.
Ma il Mediterraneo, quasi fosse una tragica miniera svizzera, è diventato una gigantesca tomba. La tomba della nostra civiltà!
Franco Laratta