Interrogazione a seguito delle intimidazioni ai gestori del ristorante «Al Valantain», a Villa San Giovanni (RC)
LARATTA. – Al Ministro dell’interno. – Per sapere – premesso che:
nel mese di maggio 2006 i gestori del ristorante «Al Valantain» di Santa Trada, a Villa San Giovanni (Reggio Calabria), dopo aver subìto numerose intimidazioni da parte delle cosche mafiose, hanno deciso, malgrado i ripetuti appelli, di chiudere la loro attività commerciale;
i titolari del locale sono giunti a questa conclusione dopo aver constatato che, a seguito della loro coraggiosa denuncia sia ai mass media che alle forze dell’ordine nell’ottobre dello scorso anno, le invocazioni di aiuto allo Stato sono risultate vane;
i fatti del «Valantain» risalgono allo scorso anno e sono stati al centro anche di interrogazioni parlamentari da parte di deputati calabresi, tra i quali, l’attuale Vice Ministro all’Interno, on. Marco Minniti, che il 12 dicembre 2005 con atto 4/18844 nella seduta numero 717 illustrava all’allora Ministro dell’Interno i fatti che hanno poi determinato la decisione sofferta della famiglia Mazza, titolare del ristorante;
l’11 giugno scorso sulla spiaggia di Briatico, in provincia di Vibo Valentia, un imprenditore agricolo di nome Fedele Scarcella, di 71 anni, è stato ritrovato ucciso e carbonizzato nell’auto di sua proprietà. Secondo quanto riportato dagli organi di informazione e secondo le testimonianze dell’associazione antiracket «Sos Impresa», l’uomo era impegnato in prima linea nella lotta contro il racket e in passato è stato destinatario di intimidazioni da parte della `ndrangheta alle cui organizzazioni avrebbe sempre opposto il rifiuto di pagare tangenti;
sempre secondo l’organizzazione antiracket il movente della barbara uccisione sarebbe riconducibile al fatto che Scarcella aveva denunciato a viso aperto i suoi estortori;
il 13 giugno 2006 dalle colonne del quotidiano «La Repubblica», l’imprenditore Filippo Callipo, presidente regionale dell’associazione degli industriali, ha espresso la volontà di andare via dalla Regione perché «La Calabria è persa», riferendosi allo stato di «corruzione» e di abbandono in cui versa. Callipo, che in passato si è distinto per le sue coraggiose denunce pubbliche contro la criminalità organizzata, ha denunciato la solitudine che accompagna gli imprenditori calabresi e che «dopo l’appello al presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi c’è stato un silenzio totale. Quello sfogo nel giugno 2005 sulla `ndrangheta che in Calabria soffocava le imprese e tutto il resto, è caduto nel vuoto», ragion per cui l’imprenditore ha detto di andarsene dalla Calabria, provocando, come è ovvio immaginare, imbarazzo e un certo disagio nel mondo produttivo e sociale calabrese. Callipo, che lo scorso anno si era pronunciato a favore dell’impiego dell’esercito in Calabria, nella sua intervista al giornalista Attilio Bolzoni, ha riferito che neanche dopo l’omicidio del vicepresidente del Consiglio regionale on. Francesco Fortugno, in Calabria, non c’è stato alcun segnale di cambiamento;
nei giorni scorsi, ancora una volta, la Baronessa Maria Giuseppina Cordopatri ha denunciato l’avvenuta revoca del sistema di sicurezza che le era stato assegnato nel 1997 e potenziato nel 1999;
negli ultimi anni in Calabria si è registrata, fra le altre cose, una recrudescenza criminale, con attentati e intimidazioni a danno di diversi amministratori degli enti locali;
a giudizio dell’interrogante gli episodi sopra citati evidenziano il grave stato di abbandono e la scarsa presenza dello Stato che si registra da anni sul territorio calabrese che invero, è presidiato dalle organizzazioni mafiose che soffocano le popolazioni e le attività produttive -:
alla luce della gravissima emergenza calabrese quali iniziative urgenti intenda adottare il Governo per il ripristino immediato della legalità in un territorio sempre più preda delle cosche mafiose;
se il Ministro non ritenga opportuno accogliere le sollecitazioni di vasti settori della società civile calabrese tra i quali anche il presidente di Confindustria Calabria di impiegare temporaneamente i reparti militari dell’esercito, come segnale forte di presenza dello Stato nelle aree maggiormente critiche al fine di presidiare e tutelare il territorio e garantire sicurezza al tessuto produttivo minato dall’offensiva criminale.(4-00287)