Il miracolo di don Eugenio!
Torna in Africa il giovane prete che da Diamante ci ha insegnato la gioia di vivere
Quella di don Eugenio, giovane sacerdote del Benin, in Africa, è una storia particolare. Parroco a Diamante per 10 anni, da poche settimane ha terminato la sua missione. Il suo vescovo l’ha richiamato in patria. Lui ora è qui in Calabria per pochi giorni, giusto il tempo di sistemare alcune cose. Da lui vorremmo capire come ha fatto a conquistare tutti, credenti e atei, vecchi e giovani. Qual è il suo segreto.
Ci accoglie a braccia spalancate e con quella gioia contagiosa che lo caratterizza.
-“Devo dire, Franco, ad essere sincero, che nemmeno io riesco a spiegarmi, a capire, cosa sia successo in questi anni. Oggi sento il la sofferenza della gente che mi ha visto andare via. L’unica cosa che posso dire è che qui stavo bene, a Diamante stavo bene, in Calabria stavo bene. Posso solo dire che ci siamo voluti bene. Tutti, veramente bene”.
Sorride don Eugenio, d’un sorriso aperto, vero, che avverti sincero. Com’è lui, del resto.
“Ora che sono ritornato in Benin mi è stata affidata una parrocchia. Mi aspettavo di trovare una chiesa, una come quelle in Italia, una grande chiesa. Ho trovato un capannone all’aperto, senza nulla. Ho capito che dovrò ricostruire da zero anche quella chiesa. Ma poi, e qui ho avuto una grande gioia, quando ho celebrato la prima messa della domenica, alle sei della mattina, ho visto quella chiesa, anzi quel capannone, riempirsi di gente. Stracolmo di gente. Lo stesso alla messa delle otto; e la stessa cosa alle dieci, alla messa dei bambini: ce ne erano più di 400-500! Una gioia“.
E pensare, caro don Eugenio, che qui in Italia abbiamo le chiese grandi e belle, ma vuote.
“Quasi quasi vorrei prendere una chiesa di queste e portarla in Benin”. E giù la sua splendida risata che trasmette gioia.
Poi don Eugenio mi dice qualcosa di particolarmente bello quando gli chiedo se è vero che quando è arrivato in Calabria la prima volta, non avesse nulla, ma veramente nulla con sé.
“Sì, è vero. Ma poi ho avuto tutto, ho avuto tutto tutto. Ho trovato padre, madre, fratelli, sorelle, mi hanno offerto una casa, e quando avevo bisogno mi prestavano una macchina. È proprio vero che in me si è realizzato pienamente il Vangelo”.
Andare via da Diamante deve essere stato doloroso per questo giovane prete africano!
“Sai Franco, io pensavo, andando via da qui, di perdere tutti gli affetti. E ho molto sofferto per questo. Invece no, in realtà gli affetti che avevo prima, si sono moltiplicati centinaia di volte. Ho toccato con mano tanta generosità che non sto qui a dire, tante manifestazioni di affetto, una cosa bellissima. E sono pure diventato social, seguo tutti con whatsapp, ci scambiamo idee, progetti, foto. Una cosa meravigliosa”.
Don Eugenio, rientrando nel suo Benin, ha già le idee chiare su quello che intende fare nell’immediato futuro.
“Voglio realizzare un centro per i bambini disagiati, perché possano accedere a una formazione culturale, all’istruzione, alla scuola. Io dico che la mia presenza deve servire a qualcosa. Utilizzerò la generosità che ho ricevuto dai diamantesi, anche a livello economico, per questi miei fratelli del Benin, di Portonovo. Io vorrei essere la loro voce”.
Quando la gente incontra don Eugenio prova un senso di gioia. Lo dicono tutti, qui a Diamante. Ha colpito il suo portare il Vangelo con un sorriso sulle labbra, come faceva Francesco d’Assisi. Lui qui, nel suo piccolo, ha tolto quel velo di tristezza che c’è troppo frequentemente nei cristiani.
“Hai ragione Franco. Del resto la prima enciclica che ha scritto Papa Francesco si chiama Laudato si’. Ma io ho l’impressionebche siano le persone che mi comunicano gioia. Quando vedo le persone, ritrovo il sorriso. Ma prima non ero così, nel seminario ero triste, chiuso. È stato grazie a un vescovo che mi ha dato sicurezza se io ora sono così”.
Don Eugenio ora se ne torna definitivamente in Africa, nella sua terra. Lascia un sorriso enorme, lascia la riscoperta gioia del cristianesimo, quella gioia che noi occidentali, noi italiani, abbiamo perso, rendendo la nostra fede vecchia, stanca, triste.
Questo giovane prete, venuto in Calabria senza nulla, da solo, ha lasciato qui la gioia di vivere, di essere prete, fratello, amico. Quasi un miracolo!