Il caso Grillo e la psicologia delle folle
La folla grida: Giuseppe…Giuseppe… Giuseppe.
“Chi è Giuseppe?”, chiedo ad un ragazzo.
“Giuseppe è un grande. Giuseppe è la nostra speranza”, fa lui.
Mi rivolgo allora ad una giovane donna, impegnata a scandire insieme agli altri il taumaturgico nome: “Ma cosa ha fatto Giuseppe nella vita? Cosa sai di lui?”.
Lei, sprezzante: “Non importa quello che ha fatto. Conta quello che farà. Noi vogliamo cambiare. E ora mi lasci perdere. Voi della stampa siete nostri nemici”.
Dal palco, uno con l’aria ruvida da capo popolo e la silhouette da animatore turistico scalda la massa, determinato a superare il punto di ebollizione.
I Giuseppe al secondo simpennano istericamente dando vita ad un estatico mantra che sale in cielo e rimbalza su tutti i mezzi di comunicazione.
Il Repubblicano titola in prima pagina e a sei colonne: ” Giuseppe. La folla vuole Giuseppe”.
Il Corriere del nord, per non essere da meno, rilancia: ” Tutto il Paese chiede l’elezione di Giuseppe”.
Più prudenti ma altrettanto entusiaste le “decine di migliaia in piazza che invocano Giuseppe alla presidenza” con cui il tg della rete ammiraglia apre ledizione straordinaria.
È la rete, però, il luogo che a suon di cinguettii e altri versi ha decretato la popolarità di Giuseppe. Legittimato dai clic, lui tende lorecchio e imbandisce la tavola coi suggerimenti raccolti online, sparecchiando furtivamente dicono i maligni i piatti indigesti e fissando con le catene, come si faceva con l argenteria preziosa, le decisioni che gli somigliano. Tutto si consuma sulla piazza virtuale. Digestione compresa. Al primo mal di pancia scatta linidoneità a prestare servizio.
I fans a prescindere di Giuseppe, quando abbandonano il tepore della casa virtuale e riacquistano il contatto con la pietra viva, manifestano lirritabilità sopra documentata.
Colpa del jet lag, disabituati ad interagire con simili che si esprimono senza bisogno di loggarsi, questi supporter alzano muri, dietro cui nascondere i segni di insofferenza che potrebbero essere scambiati per lipocondria tanto invisa al leader. Le sporadiche e coraggiose scalate per superarli si risolvono in puntuali scivoloni.
Poco male. Limportante è spendere il proprio fiato per acclamare Giuseppe, il salvatore del nostro Paese, sulla cui storia però nessuno si interroga.
Molto male. Distrarre le masse dai come, costruendo la propria autorevolezza sulle promesse e non sullesempio, spalanca le porte al populismo e avvalora la tesi di Gustave Le Bon contenuta nella Psicologia delle folle secondo cui le folle non possono essere guidate dalla ragione, perché l’animo della folla è caratterizzato dal sentire e non dal pensare”.
“La folla dunque – non ha bisogno di sapere. Ha bisogno solo di credere”.
Peccato che spesso i Giuseppe deludano. E che ci sia sempre un Giuseppe più duro e puro pronto a scalzare il precedente con offerte più appetibili sparate coi decibel a manetta.
Finita leuforia, spenti i microfoni, sopravvive solo chi riesce a superare la linea delle intenzioni.