Addio a Giovambattista Spadafora: orafo calabrese di papi, vip e potenti
Addio a Giovambattista Spadafora. Se n’è andato “l’orafo delle madonne”, l’orafo dei papi, dei potenti, dei vip, degli uomini dello spettacolo e della cultura. Ma soprattutto l’orafo della gente semplice, della gente comune. Giovambattista Spadafora ha disegnato un modo nuovo di fare arte orafa nella nostra terra, di fare opere d’arte e di mantenerle sempre comunque nel contesto attuale, facendo cultura, rispettando la tradizione, innovando, ma mai distaccandosi dalla gente semplice a cui lui si onorava di appartenere. Giovambattista Spadafora non ha mai dimenticato i tempi in cui la povertà era una condizione comune nella sua Sila, nella sua San Giovanni in Fiore.
La storia della famiglia Spadafora di San Giovanni in Fiore è strettamente legata alla storia dell’oreficeria in Calabria. Giovambattista, cresciuto all’ombra di suo nonno Francesco nel vecchio laboratorio della “Funtanella”, è proprio letteralmente cresciuto in laboratorio. Da suo nonno sentiva i racconti della tradizione orafa della sua famiglia. Gli parlava a sua volta di suo nonno e del suo bisnonno, i quali, come lui facevano il mestiere dell’orafo, e così a ritroso nel tempo, riferendosi a una tradizione familiare plurisecolare, iniziata nel tardo ‘700 o forse prima. Certo, in quegli anni non si diventava ricchi facendo l’orafo. Erano anni di povertà ed emigrazione e, in una realtà rurale e marginale come quella di San Giovanni in Fiore, si pagava spesso barattando beni di prima necessità. Si capisce bene però che con piccoli lavoretti non si poteva sfamare ben quattro famiglie, così, dopo la morte di Francesco, lo spettro dell’emigrazione si abbatté anche sulla famiglia Spadafora. Partirono due zii di Giovambattista, un terzo purtroppo morì molto giovane, ed il quarto, tornato dalla guerra, pur di non lasciare nuovamente il suo paese, affiancò a quello dell’orafo il mestiere del sarto, che, in quegli anni, rendeva di più.
Giovambattista era poco più che un bambino. Quel bambino però, diventato ragazzo, non aveva mai abbandonato il desiderio di seguire le orme del nonno e ben presto si reinventò. Si iscrisse alla Camera di Commercio Industria, Artigianato di Cosenza come laboratorio orafo. Era il 1955, lui aveva 17 anni ed iniziava così l’avventura dell’azienda orafa G.B. Spadafora.
Dopo 10 anni Giovambattista sposa Maria. Nascono quattro figli. Peppino, Giancarlo, Carolina e Monica. Peppino e Giancarlo capiscono ben presto che papà aveva tracciato anche la loro strada, così, ancora adolescenti, si specializzano alla scuola d’arte orafa napoletana, ma, mentre Giancarlo mostra immediatamente il talento per la manualità e l’estro del padre, Peppino, pur mantenendo la vena artistica che si manifesta in tutte le collezioni di gioielli, sviluppa una mentalità più imprenditoriale. Carolina e Monica, invece, pur avendo sempre respirato il bello artistico, manifestandolo con il disegno di splendidi gioielli, hanno intrapreso gli studi giuridici e supportano così l’attività.
Giovambattista aveva iniziato a lavorare dedicandosi al sacro, ancora prima di sposarsi. Gli venne assegnato l’attributo di “orafo delle Madonne” per la quantità di corone realizzate con gli ex voto dei fedeli, per le statue di innumerevoli chiese della Calabria.
Si ritenne, però, veramente degno di quell’attributo solo quando Papa Giovanni Paolo II, il 6 ottobre 1984, benedì, per la prima volta una sua corona. A quell’incontro con Papa Woytila ne seguirono altri cinque, fino al 2000, come testimonia il Commendatore Arturo Mari, fotocronista de L’osservatore Romano.
Così arrivò il giorno in cui Giovambattista poté tener fede alla promessa che si era fatto molti anni prima: partire per l’Argentina e riscattare dai suoi cugini, dei quali nessuno aveva scelto di intraprendere la strada dell’oreficeria, gli attrezzi ed i gioielli di famiglia.
E così fu. Nei primi anni 90’ tornò a casa con parte della collezione dei gioielli borbonici oggetto della collezione dei gioielli antichi di Spadafora, certificati da due Soprintendenze (Napoli e Cosenza) e dal Ministero dei Beni Culturali (Dario Franceschini ministro), ma soprattutto con il banco di lavoro a tre postazioni presso il quale si era fatto tramandare il prezioso mestiere da suo nonno.
Nel 1989 avvenne il fortunato ‘incontro’ tra Giovambattista e Gioacchino da Fiore, in occasione della riapertura al pubblico dell’Abbazia Florense. In quel periodo gli fu commissionata la realizzazione di un’urna in ottone per riporvi dentro le ossa dell’Abate profeta. Fu così che, portando avanti una ricerca personale sul mistico personaggio, si imbat- té nella figura del Draco Magnus et Rufus. Ne parlò con i figli Peppe e Giancarlo e, insieme, pensarono di realizzare degli orecchini in oro col drago dalle sette teste. Fu il primo di una serie di gioielli e colle- zioni, oggi soprattutto in argento, in continua evoluzione.
Possiamo dire che, con questi gioielli di ispirazione gioachimita, Spadafora ha contribuito alla diffusione della conoscenza di Gioacchino da Fiore presso un pubblico più popolare, più giovane. Gli orafi Spadafora non passavano inosservati neanche alle celebrità del Jet set, e allora gli incontri a Washington con Roberto Benigni, Sofia Loren, Robert Loggia, Ernest Borgnine, Franco Nero, ma l’emozione più grande è stata, senza dubbio, consegnare una scultura realizzata in argento a Mauro Fiore, altro figlio di Calabria e premio Oscar per la fotografia nel film Avatar. Farsi conoscere a livello internazionale ha significato anche suscitare l’interesse di colossi del lusso come Harrod’s di Londra. Era la primavera del 2013 quando l’azienda si vide recapitare la proposta di partecipare al progetto del villaggio Harrod’s a Porto Cervo, in Sardegna. La prima volta che il colosso londinese oltrepassava i confini del Regno Unito lo faceva in Italia e dell’Italia voleva rappresentare il meglio. Fu un’edizione strepitosa, ed il marchio di Spadafora si trovava in mezzo a nomi del prestigio internazionale quali Chopard, Garrard, De Grisogono, Valentino. Intanto Il maestro Giovambattista Spadafora è stato presente alla edizione numero 75 della Mostra d’arte di Venezia del 2018. Un connubio artistico per declinare, in diverse modalità, la contemporaneità tra creazione e cinema.
Ma il capolavoro di Giovambattista è il dono che ha fatto al patrimonio pubblico della sua collezione privata di ori antichi, che non ha eguali in Italia, e che racconta la vita della gente di Calabria ma anche della gente del Regno di Napoli. Oggetti preziosi, di particolare e antica bellezza, che hanno accompagnato la vita delle persone dal momento della nascita con il battesimo, poi nella celebrazione dei sacramenti della cresima e del matrimonio, e addirittura fino alla morte.
Il ministero dei Beni Culturali, sotto la guida di Dario Franceschini, dopo tantissimi mesi di lavoro a cura della Dottoressa Rosa Romano della Soprintendenza di Napoli, dopo il lavoro svolto dalla Soprintendenza di Cosenza con l’architetto Pasquale Lopetrone, ha riconosciuto l’autenticità di 468 gioielli, vincolandoli per il loro particolare interesse storico e culturale. Faranno parte di un museo stabile a San Giovanni in Fiore, mentre una parte della collezione farà parte di una sorta di museo itinerante che attraverserà i palazzi e i luoghi storici dell’Italia e dell’Europa.