Sindaci e legge Bassanini
No alla terza legislatura
Da Il Quotidiano della Calabria di giovedì 28 settembre 2006
Con una certa alternanza periodica capita di leggere del “bisogno” di rivedere la legge Bassanini sulle autonomie locali. Una rilettura che, per la verità, nasconde più sostanzialmente un bisogno del potere costituito volto a consolidare se stesso, piuttosto che a garantire democraticità e continuità al sistema amministrativo. E bene ha fatto, solo qualche giorno fa, il deputato Laratta a risollevare l’argomento, la cui discutibilità non sempre si nutre della complessiva materia che afferisce e implica la governabilità di un Comune, intesa come rete di rapporti tra amministratori e amministrati.
Riagganciandomi all’incipit, la dice lunga quella “vibrante” richiesta di cambiare la legge che vieta la terza legislatura ai sindaci in carica, di cui riferisce il deputato calabrese. Non mi pare di scoprire l’arcano se individuiamo in quella istanza pressante proprio degli interessati soggetti politici. Salvaguardando le positive eccezioni (ma sempre eccezioni restano) dei buoni e sensati gestori della cosa pubblica, è sotto gli occhi di tutti il despotismo conclamato che incarnano molti sindaci nel loro rapporto quotidiano. E ciò sia nei confronti dei privati cittadini (segnatamente quelli che non sono funzionali a quella maggioranza) che verso dipendenti pubblici e ovviamente con l’opposizione. Tre categorie che quella categoria di amministratori non si fanno scrupolo di definire “nemici” piuttosto che avversari o cittadini di diversa opinione. E allora non è raro il caso che questi vengano presi di mira con effetti circa lo stato dei diritti (che vengono impunemente negati) dei cittadini-contribuenti, o addirittura mobbizzati. Quanto, poi, poteva essere ragionevolmente prevedibile un atteggiamento siffatto, assolutamente antidemocratico, da quella legge Bassanini che ha modificato il rapporto tra un sindaco e i suoi concittadini in nome di una pretesa stabilità amministrativa, ciò è tutto da dimostrare. E’ invece facilmente dimostrato quanto quella dispotica “sufficienza” abbia nuociuto a una reale e concreta funzione di controllo sugli atti amministrativi da parte delle minoranze.
Le quali se vogliono effettivamente svolgere il proprio ruolo devono ricorrere ai Tar. La eliminazione dei Comitati di controllo, evidentemente, non è stata surrogata da un’altrettanto efficace vigilanza prefettizia. Da questo punto di vista, dunque,
Ecco perché, molto opportunamente il rappresentante cosentino della Margherita propone la estensibilità del divieto a una legislatura oltre la seconda anche a consiglieri regionali e deputati o senatori. E ragionevolmente, perché ci possa essere un ricambio, a chi “rischia” di egemonizzare un’istituzione per 50 anni. E’, al contrario, auspicabile che si lasci spazio alle nuove generazioni, e a queste si dia concreto esempio che se per un verso si combatte il carrierismo politico, si vuole garantire un’aspettativa di servizio ai cittadini disposti e capaci.
Alberto Volpe