Se riprendessimo a darci del lei?
Beh, forse dovremmo dire se cominciassimo a darci del lei. Al giornalaio, alla prof. (ma non suona meglio
professoressa?), al collega.
Cè qualcosa di infinitamente elegante in quel la prego.
In Calabria, ma credo in diverse altre parti del sud, si dava del voi perfino ai genitori. Non era per marcare la distanza, ma per affermare un forte senso di rispetto, di profonda ammirazione.
Tornare a darsi del lei potrebbe essere il primo passo per ricostruire una società diversa. Fatta di regole condivise.
Ci sono piccole cose che di solito valgono più di quelle grandi. Il saluto al vicino di casa, al passante, alla persona che incontri in ascensore. Il fatto è che sono anni che quasi non ci salutiamo più, nemmeno se ci si scontra frontalmente. Il ciao lo si destina solo agli amici e ai conoscenti più stretti. Ma il buongiorno signore è merce rara. Introvabile.
Eppure un saluto, un accenno di sorriso, rendono i rapporti umani un po più veri. Ci levano da quella cappa di auto-isolamento che ci siamo costruiti e nella quale molte persone vivono, lontani e distanti dal mondo. Forse perché così ci sentiamo più sicuri, protetti. Ma sappiamo bene che chi vive da solo non è mai al sicuro.
Se, giusto per alzare un po il prezzo del sacrificio, leggessimo alla sera il capitolo di un libro, invece dellinutile girovagare da un canale televisivo allaltro (facendo zapping ci salviamo dal peggio delle programmazione, ma ci perdiamo nella banalità di trasmissioni televisive del tutto inutili e banali).
Se ritrovassimo il piacere di un tè con gli amici, che ormai non incontriamo più. Fosse anche per una sana chiacchierata senza troppa importanza ( non per forza ogni incontro deve avere un ordine del giorno!). Sarebbe gossip? Beh, perché no?
Qualche giorno, prima dellimmersione profonda nel lavoro quotidiano (spesso caotico e confuso), ho scoperto che ricorreva lanniversario della nascita di Eugenio Montale (12 ottobre 1896), di cui oggi ben pochi conoscono qualcosa. Sono andato così a rileggermi qualche sua poesia, grazie a quegli strumenti così immediati e potenti che ci rendono la vita più comoda (un computer, una ricerca su google e in tre secondi hai davanti un centinaio di pagine a disposizione). Ma abbiamo perso la passione per riscoprire la storia e la cultura che ci appartiene. Così di Montale ho trovato questi versi affascinanti: …e andando nel sole che abbaglia sentire con triste meraviglia com’è tutta la vita e il suo travaglio”.
Ho quindi fatto una cosa rapidissima (ancora grazie alla tecnologia): ho pubblicato questi versi sulla mia bacheca di Facebook ( in pochi minuti ho raggiunto i miei circa 5000 amici) e a quelli più cari ho mandato i versi con un sms. Mi hanno tutti fatto capire di avere gradito molto questo ahimè desueto buongiorno.
Pensavo: e se lo facessimo tutti ogni mattina? Cioè leggere qualcosa di un grande del passato e renderlo noto ai nostri amici e conoscenti.
Piccole cose, che non ci costano praticamente nulla.
Se dal darci del lei, allaugurarci un buongiorno, a comunicarci le nostre emozioni, passiamo poi, inevitabilmente, ad urlare di meno (ma avete notato che oggi tutti urlano?), quindi ad azzannarci di meno nel traffico (le strade sono diventate un teatro di scontro quotidiano tra automobilisti stressati), a rispettarci di più nel lavoro, nei rapporti personali, nella vita sociale
guadagneremmo tutti nella qualità della vita.
E da qui il passo verso il rispetto delle leggi, di tutte le leggi, è davvero breve. Pagare le tasse, ad esempio, smettendola di essere complici degli evasori; non inquinare lambiente; fare la raccolta differenziata, e così via!. Il tutto per una società più giusta.
Qualche mese fa, mentre scrivevo ad un computer del Corridoio dei presidenti della Camera, ho visto arrivare da lontano il senatore a vita Giulio Andreotti. Lho riconosciuto ed ho appena alzato lo sguardo. Buongiorno onorevole; ma non sono stato io a dirlo: Andreotti lha fatto per primo! Dandomi così una bella lezione di stile. Ma è sempre così, però. Le vecchie generazioni salutano sempre quando ci si incontra. Le nuove quasi mai.
Franco Laratta