Sapori di Calabria: pecorino, nduja e peperoncino!
La gastronomia calabrese, povera ma genuina, dai sapori robusti e dagli odori intensi, riflette fedelmente il carattere forte di questa terra aspra e soleggiata, contesa da mari e monti. .
Cè qualcosa di sacro nel modo di alimentarsi del calabrese: il cibo non è vissuto come semplice fonte di nutrimento, ma è ristoro dei sensi, elevazione dello spirito, protagonista irrinunciabile dei riti religiosi, familiari che scandiscono la vita.
La cultura fast- food dei cibi già pronti e della consumazione veloce dettata dai tempi incalzanti di una società frenetica, si è insinuata anche nelle nostre abitudini. Tuttavia, più che altrove, resiste un approccio slow ai piaceri della tavola, un ritmo blando nel godimento degli stessi, la predilezione per la qualità delle materie prime e unaccurata preparazione di esse. Ma soprattutto è sempre viva la liturgia del banchetto nei giorni festivi.
Lunghe ore di preparazione precedono levento: teglie stracolme, pentole borbottanti siedono già di buonora sui fornelli roventi, diffondendo nellambiente profumi che sintrecciano e diventano più avvolgenti, inebrianti, con lincedere della cottura. La parola light è bandita. La quantità di ingredienti, nel dubbio, arrotondata per eccesso. Si è sempre percorsi dal timore che porzioni, universalmente ritenute abbondanti, non soddisfino il commensale. E uninnegabile distorsione della percezione quella che affligge noi calabresi quando si tratta di cucina: il numero delle portate ci appare sempre esiguo, il piatto mai adeguatamente ricco, i condimenti e le spezie sempre troppo anemici, il vino fastidiosamente amabile.
Forse è un retaggio del passato: un modo per esorcizzare lindigenza, ricevuto in dote dai nostri antenati e inconsciamente assimilato nonostante si viva unopulenza maggiore rispetto a ieri.
Corrosi dallincertezza, finiamo perciò con lesagerare, convinti che per far bella figura è dobbligo sfidare la tenuta di strada di ogni buona forchetta: la pancia deve lievitare per effetto di conserve sottolio accompagnate da pane casereccio, pasta fresca, carni, insaccati, formaggi, dolci, frutta , serviti in rigoroso ordine e suscettibili di bis; la temperatura corporea innalzarsi e sciogliersi in sudore che solca la fronte, pasteggiando con vini dalla struttura volitiva; la lingua anestetizzarsi per le generose quantità di peperoncino spolverato su tutto ciò che può dirsi commestibile; la digestione, infine, attivarsi lentamente: neppure caffè e ammazzacaffè possono negarci il diritto ad una fiera pesantezza di stomaco, unica cartina di tornasole di un pranzo soddisfacente ritenendo poco urbano esprimere il gradimento alla maniera turca.
Da piccoli simpara la centralità del cibo nella nostra cultura. Quanti aeroplanini carichi di ogni bendidio sono atterrati nelle nostre bocche! quanti avremmo preferito non decollassero proprio, o comunque, fossero dirottati verso le nostre madri ogni qual volta erano colte da eccesso di zelo!
Crescendo, le insidie aumentano. Si aggiungono due banchi di prova sui quali testare la propria calabresità: i pranzi nuziali e le sagre.
Nel primo caso, lansia da prestazione aumenta e la volontà di non deludere si traduce in banchetti interminabili che mettono a dura prova lo stomaco e le gambe anchilosate degli invitati, ai quali non resta che prendere al volo il primo trenino che a suon di musica si muove per la sala, sperando in un deragliamento.
Nelle sagre, i ruoli si ribaltano: da vittima a carnefice. Si sgomita col vicino, si calcolano i centimetri con cui egli avanza nella fila, preparando più efficaci contromosse. Cè soddisfazione a tagliar primi il traguardo per farsi riempire il piatto: di funghi, se la manifestazione è a Roccacannuccia Marina; di cozze, se è a Roccacannuccia Superiore come spesso accade!
Riceviamo una formazione lunga e adeguata che ci consente di leggere e gestire il rapporto che lega i nostri corregionali al cibo.
Proprio per questo non dobbiamo infierire sugli ospiti, specie se non calabresi, che invitiamo alle nostre tavole.
Avere uno spiccato e apprezzabile senso di ospitalità non significa assediare linvitato con eccessive premure, inducendolo, per sfinimento, ad assaggiare di tutto; rivolgendogli, al termine di un pasto sontuoso, la classica frase che suona come una provocazione, ma di fatto è un sentito ammonimento per chi la pronuncia:Non hai mangiato nulla!
Qualcuno ha detto: Noi siamo quello che mangiamo. Evitando di disturbare la macrobiotica con cui la cucina calabrese ha oggettivamente pochi punti di contatto, si potrebbe ridisegnare il significato di questo principio asserendo che, al di là dei cliché, la nostra identità passa attraverso il triangolo alimentare nduja-caciocavallo-peperoncino.
Siamo calabresi per questo. Siamo calabresi per molto altro di buono che sappiamo esprimere.