Ma quale italiano parliamo?
two gust is megl che one!
pubblicato su “il Quotidiano della Calabria” 8 marzo 2006
E in discussione in questi giorni alla Camera una proposta di legge per integrare larticolo dodici della Costituzione con un comma che riconosca formalmente litaliano come lingua ufficiale della Repubblica. Liniziativa ha raccolto un consenso pressoché unanime delle Forze politiche.
Confortante il parere di autorevoli accademici della Crusca, che, interpellati dalla Commissione Affari Costituzionali, si sono espressi a favore: un gesto opportuno e auspicabile .
Non si può, infatti, contestare la funzione aggregante che ebbe litaliano per la nostra comunità. Sorto sul toscano letterario, arricchitosi coi contributi di altre aree geografiche, già nella seconda metà del Cinquecento era impiegato per gli usi amministrativi e giuridici in tutto il territorio. Spontaneamente accolto dalle comunità locali, preparò lunificazione politica e consentì di individuare i confini del nuovo stato.
Superato il nazionalismo linguistico del periodo fascista, ridata dignità alle minoranze, come previsto nellarticolo 6 della Costituzione e nella legge di attuazione 482 /99, è ora che lItalia, come tutti i paesi moderni, inserisca nella Carta un richiamo esplicito alla propria lingua.
Ma quale italiano andiamo ad ufficializzare? Una lingua articolata, ricca di mezzi espressivi e sfumature, ma poco sfruttata nelle sue potenzialità. Gli italiani leggono malvolentieri e ciò è concausa di un crescente appiattimento del loro lessico di base.
Una lingua che, lontana da pretese puriste, benedice troppo di frequente forestierismi che, entrati in uso tra la gente, vanno poi ad arricchire (?) il nostro dizionario.
Il prestito linguistico, specie nei settori tecnico-economici, ha accompagnato sempre lo sviluppo dei popoli che entravano in contatto tra loro. Oggi, usare un termine straniero, quando esiste lequivalente italiano, perché sedotti dal fascino dellesotico o, come direbbe qualcuno, perché fa fine, non solo è opinabile, ma un ricorso scriteriato rischia di generare spassosi cortocircuiti linguistici stile noio volevam savuar le indiriss o per restare ai giorni nostri two gust is megl che one.
L impoverimento del lessico e il non sempre impeccabile modo di esprimersi non risparmia categorie: luomo di strada, gli intrattenitori a vario titolo della tv e degli altri media, i politici. E se per la giovane età perdoniamo le aspiranti miss, il cui vocabolario di sentimenti e opinioni globalizzato non conosce locuzioni al di fuori dellesser belle dentro e della pace nel mondo, diversa reazione registriamo quando, fuori e dentro le schermo, a calpestare la grammatica sono persone dalle quali si attenderebbe maggiore rispetto, se non altro per il ruolo che rivestono.
E invece no! Troppi percorrono il terreno dei congiuntivi e della consecutio con la sicurezza di un pilota acerbo impegnato sulle piste accidentate e polverose della Parigi-Dakar.
Troppi infilano nei discorsi, per automatismo, le concertazioni, i tavoli, le opposizioni costruttive: frasi fatte e logore di un esperanto di casta in cui il significante sovente è sganciato dal significato.
A riscattare una prosa sciatta, intervengono i burocrati che, presi da deliri manieristici, compilano norme e regolamenti con un linguaggio così paludato che lo sforzo di decodifica gela il destinatario, costretto a medicare gli intervenuti reumatismi con le cinture del dottor Gibaud. I funzionari hanno il vezzo di dilatare concetti semplici in estenuanti parafrasi, rese tortuose dalluso di termini desueti che nuocciono alla comprensione del cittadino sempre più indispettito e rendono velleitarie la trasparenza e la chiarezza, sbandierate senza sosta come chiavi imprescindibili di una corretta comunicazione istituzionale.
Lo stile, asciugato degli orpelli del burocratese, diventa con gli sms minimale, spoglio. Forse è un contrappasso troppo severo per