Laratta prende il lanciafiamme.
Sogno un partito senza tessere. Giovane, aperto, senza il bluff dei circoli.
COSENZA – Franco Laratta, commissario Ismea e già deputato Pd, sogna un partito di trentenni in luogo di una classe dirigente che ha palesemente fallito. Immagina anche un partito senza tessere, aperto a tutti.
Laratta lei un po’ di colpa ce l’ha nella situazione attuale del Pd cosentino?
«Perchè?»
Era candidato segretario provinciale, in opposizione a Luigi Guglielmelli. A un certo punto si è ritirato. Perchè?
«Perchè non si può giocare senza regole. Quelle primarie erano state già decise altrove e a nostro avviso truccate. Il presidente della commissione di garanzia, Pietro Midaglia, uomo al di sopra di ogni sospetto, con un blitz fu sostituito. Con la mia area allora decidemmo di non partecipare più. Ma è inutile parlare del nulla!».
Allora eravate voi i renziani: Lei, Principe, Magorno. Ora sembra che nel Pd ci sia un’unica corrente…
«Cose che capitano in politica. Segno che allora avevamo ragione».
La classe dirigente però non è cambiata e i risultati non sembrano esaltanti..
«No, e il problema non è nemmeno la sonora sconfitta in tutte le grosse città, bensì lo schiaffo che ci ha dato Mario Occhiuto quando in una intervista sulla vostra testata dice “candido mio fratello alla presidenza”.
Mio fratello, capisce? Significa: voi del Pd non contate nulla, non esistete nemmeno».
E lei condivide questa analisi?
«Non si tratta di condividerla. Ci sono i dati . L’8% a Cosenza, la sconfitta in tutte le grandi città calabresi, significa che il partito è stato distrutto, cancellato dagli elettori. Rispetto a questo nessuno ha sentito il bisogno di chiedere scusa, di mettersi da parte. Si continua a mettere la testa sotto la sabbia. Per me va benissimo. Ma dobbiamo essere consapevoli che così andiamo verso il suicidio politico».
Ma come si risolleva il Pd?
«Questo modello di partito è fallito! Serve a poco dire che dopo 10 anni non è mai nato. Io sogno un partito senza tessere, senza inutili e vuoti organismi autoreferenziali. Basta con i pacchetti di tessere dopati con iscritti che sono amici e parenti, basta con le primarie truccate. Lo sa che a Roma le primarie in Calabria le chiamano “falsarie”? Siamo riusciti ad esportarle anche fuori regione».
Ma così diventa un partito senza regole…
«No, serve un partito che apra il più possibile alla partecipazione diretta, ai giovani. Immagino incontri su temi specifici che possano attirare le tante forze positive e giovani della Calabria. Sul territorio sta crescendo una nuova classe dirigente nei consigli comunali, nelle associazioni universitarie, nel volontariato. Oggi proviamo a cooptare qualche giovane, ma parliamo un linguaggio vecchio, perché è tutto superato, antico. Basta leggere i comunicati stampa e certe interviste: sembrano scritti negli anni ‘50. Io sogno un partito di nativi digitali, di ragazzi che vivono nella società e ne capiscono le sofferenze. Noi stiamo vivendo un vero e proprio dramma da 5 anni a questa parte: un’intera generazione sta andando via, non perchè non ami la Calabria, ma perchè qui non vede futuro. Questa è una grande questione che va portata a livello nazionale. Invece non ne parla nessuno, nè qui nè altrove».
A questo punto mi corre l’obbligo di chiederle un giudizio sull’amministrazione regionale
«Io alle primarie non ho votato Mario Oliverio, anche se in una seconda fase l’ho sostenuto lealmente. Mi pare che debba cambiare passo. Lui ha l’occasione storica di salvare la Calabria: o lo fa ora o mai più».
Perchè ora?
«Perchè ci sono sul piatto il miliardo e mezzo del Patto per la Calabria, quasi un miliardo per l’agricoltura. Spero che Oliverio tiri fuori il vecchio combattente comunista che è in lui e ingrani la quarta. Chiami a sè manager competenti, li prenda da fuori, magari anche in Europa, ma dobbiamo accellerare altrimenti dopo questa ultima occasione, la Calabria sarà destinata allo sfacelo. Se fallisce Oliverio, fallisce la Calabria. È finita per tutti».
A questo proposito cosa ne pensa del dibattito sulla burocrazia, soprattuto regionale?
«Non vorrei che fosse un alibi della politica per scaricare le proprie responsabilità. I dirigenti sono importanti, ma serve una visione politica».
Qua, anche a leggere i resoconti della direzione regionale, pare che l’unico problema sia la presenza dei commissari al Pianto di rientro
«Anche qui è una polemica che non capisco. I commissari sono figure emergenziali. Nel diritto romano c’era il dittatore che durava sei mesi. Ma in questi due anni cosa ha prodotto il consiglio regionale sulla sanità? Ha elaborato un contropiano da presentare a Roma per convincerlo a eliminare il piano di rientro?»
Non so dovrebbe chiedere al suo ex collega Franco Pacenza, è lui il delegato alla sanità. In effetti lei ha capito a cosa serve questa figura?
«Non è questo il problema, nè il ruolo di Pacenza. Fra l’altro non ho nemmeno letto il decreto di nomina e non so che compiti abbia. Il problema è avere delle idee chiare e forti sulla sanità. Anche questo dibattito sugli ospedali nuovi mi pare incanalato su concezioni vecchie di ospedali che esistevano nell’800, oggi superati dai tempi. Quel vecchio modello è ormai superato. Servirebbe una nuova funzione. Umberto Veronesi ne parlava già dieci anni fa. Una cosa però la so. Dopo 35 anni di gestione regionale è tempo che la sanità passi allo Stato. In Calabria abbiamo avuto vent’anni di gestione folle che ha prodotto pochi servizi ed enormi debiti. Nel resto d’Italia non è andata meglio».
Intervista di Massimo Clausi, pubblicata il 14 luglio su “il Quotidiano del Sud”.