La politica è davvero finita? Ma senza partiti non c’è più democrazia
La domanda non è recente. Ma con la nascita del governo Monti è tornata forte ed attualissima. La politica, quindi, è davvero finita, visto che al governo del Paese sono arrivati i ‘tecnici’?
Domanda curiosa, perchè con o senza il governo Monti, la politica non c’è più.
La politica, quella che ha attraversato il ‘900, ha cessato di esistere da molto tempo. Questo per un motivo fondamentale: perchè sono finiti gli ‘argomenti’ della politica: il lavoro, lo sviluppo, la difesa dei valori. Nel senso che la politica non ha più saputo gestire e organizzare la società: preferendo fare altro!
Un solo esempio: la politica ha assistito, senza reagire, alla crisi della famiglia nella società moderna. Nonostante diverse proposte presentate in parlamento, i governi non hanno mai inteso intervenire a sostegno della famiglia. E così pure per la scuola, l’università, il sociale. Solo annunci, proclami. Poi tutto è stato lasciato al caso. E in pochi anni, il Paese è andato in crisi, perchè ha perso valori, punti di riferimento, motivazioni culturali.
Ma la politica muore con l’esaurirsi della ‘partecipazione’ dei cittadini alla vita dei partiti, vissuti sempre più come distanti, chiusi, lontani dalla vita sociale, in mano a pochi. I grandi partiti, quelli storici, avevano lentamente esaurito la loro forza attrattiva: meno interessanti, meno coinvolgenti, sempre più vecchi e stanchi, troppo spesso corrotti.
Negli anni ’90 del secolo scorso, i partiti sono stati spazzati via dalle inchieste giudiziarie, ma in realtà erano già morti dentro, dimostrandosi del tutto incapaci di rinnovarsi, di guardare negli occhi una società in profondo cambiamento. E venne Berlusconi, figlio dell’antipolitica, che certificò la morte dei partiti e della politica. E si affermò una maggioranza politica che in pochi anni ha distrutto le istituzioni e ha violentato la Costituzione! Con il centro-sinistra assai debole e marginale, incapace di recuperare in prestigio e credibilità.
La fine della politica, di ‘quel’ sistema politico, non può però portare con sé solo macerie e disgregazione. Se così fosse, si rischierebbe la crisi della democrazia. Occorre ripartire dalla politica, da un nuovo modello di partiti (finalmente regolati dalla legge), da una più competente e rinnovata classe dirigente.
C’è però da dire che i partiti, ad un certo punto della loro storia, esauriscono sempre la loro funzione. Anche in un sistema democratico. La loro grande capacità dovrebbe essere quella di reinventarsi, rigenerandosi a vita nuova. Diversamente si isolano dalla società, finendo per rappresentare sé stessi e i loro gruppi dirigenti, vissuti come vecchi e superati.
E’ accaduto questo a partire dagli anni ’90. Rischia di accadere oggi, se non si trova la forza di avviare una fase nuova, di riscrivere le regole del gioco, di rinnovare l’impianto istituzionale dello Stato democratico. C’è pochissimo tempo, un anno, ma è indispensabile agire.
Occorre quindi evitare che la democrazia vada in crisi proprio a causa della decadenza dei partiti, della loro incapacità di mettere in campo idee nuove, nuove classi dirigenti, nuove energie, un nuovo linguaggio, una credibile scala di valori, un nuovo progetto politico e culturale per la rinascita del Paese.
Il sistema democratico fondato sui partiti, deve rigenerarsi, perchè non può continuare ad essere, e ad apparire, superato, debole, immobile, lento.
La classe dirigente oggi appare sempre più vecchia, debole, autoreferenziale, priva di prestigio e autorevolezza, viene vissuta come corrotta e consumata, non propone nuovi modelli sociali e culturali (semmai li subisce). Si spegne, si consuma, senza aver fatto la cosa più importante: porre in essere un serio e credibile ‘progetto per il Paese’. Mettendo in campo idee e progetti, che non possono essere quelli dell’800.
La politica nell’occidente non riesce a fermare il declino culturale né ad imporre nuovi e più moderni modelli sociali: assiste spaventata ad una storica crisi, che va tutta a vantaggio di altre aree del mondo, sempre più forti e sempre più dominanti, senza saper indicare un percorso alternativo.
La democrazia, per poter funzionare, deve saper garantire gli interessi popolari, rappresentare le esigenze generali della collettività, essere la forza e la guida di una nazione. Ma i partiti, deboli e frastornati, non rappresentano più gli interessi generali, soprattutto in una società in cui conta sempre di più l’individualismo. Non c’è più il popolo ma il pubblico, non più l’elettore ma il telespettatore. È questa l’agghiacciante eredità che ci lascia il ‘ventennio berlusconiano’ che ha goduto di un consenso enorme, mai concesso prima a nessuno.
Il Governo-Monti è senza dubbio la prima risposta ‘politica’ alla crisi della politica. Se negli ultimi 10-15 anni la maggioranza politico dominante è apparsa del tutto incapace di agire e di guidare i percorsi, il governo ‘tecnico’ ha finito per essere la sola via d’uscita alla paralisi dei governi. Dando rapide ed urgenti risposte alla crisi economica. Ma non ancora alla drammatica necessità dello sviluppo e della crescita, senza i quali il Paese affonda comunque. Al di là dello spread.
Il problema è ora un altro: cosa accadrà dopo? Premesso che in politica, nulla si ripete e niente ritorna come prima, c’è da scommettere, e ad augurarsi davvero, che alla fine della legislatura apparirà un nuovo scenario politico: nuovi partiti, nuove coalizioni, nuova architettura istituzionale. Che dovranno gestire la fase di cambiamento, una nuova stagione politica. Tecnica o politica che sia, la nuova stagione sarà utile a ridare prestigio e dignità ai partiti. Che necessariamente dovranno cambiare, rinnovarsi, rinascere. Perchè è bene che sia chiaro a tutti noi: senza partiti non c’è democrazia, ma di cattiva politica e di pessimi partiti si può anche morire, un Paese può morire, la democrazia rischia di morire.
La strada dunque è obbligata: o si cambia o si muore.
L’agonia del sistema politico che abbiamo conosciuto finora, lascia intendere che una nuova stagione stia per cominciare. Non accadrà nell’immediato, saranno necessari altri scossoni. Ma ormai è inevitabile: il Paese ha bisogno di una rivoluzione democratica, di una vera e profonda svolta. Di una stagione di profondi cambiamenti.
Per ripartire da capo.