La mia generazione avverte tutto il peso del lavoro che non c’è!
Anna Pittelli. Venti e qualche anno in più.
Adora leggere, ama profondamente il mare e questa terra. Ha deciso di rimanere perché ha scelto di cambiarla. Insieme a tanti, con cui condivide un sogno: scrivere il futuro dell’Italia proprio qui, in Calabria.
Il lavoro che non c’è, “A chi lo cerca disperatamente, a chi lo ha perso dopo tanti anni. A chi ha dovuto mandare all’aria anni di studio, aspirazioni e competenze pur di averne uno. Il lavoro rende liberi”
La mia generazione avverte tutto il peso del lavoro che non c’è. Oggi lavorare spesso equivale a lasciare nel cassetto anni e anni di studio per un call center a 400 al mese. Più di recente vedere come un miraggio anche un contratto a tempo determinato ed essere pagato a voucher. Non è solo una questione economica. Tutto questo rende la vita stessa precaria e la possibilità di costruirsi un futuro un’utopia. Chi è rimasto a studiare in Calabria sa bene che arriverà il momento in cui sarà necessario partire. Non aver creato le condizioni affinché le nostre vite si potessero realizzare nei luoghi in cui siamo cresciuti, credo sia il fallimento più grande delle classi dirigenti politico-amministrative che si sono avvicendate. Si, il lavoro rende liberi. Liberi di partecipare, di scegliere. La storia di questa terra racconta di generazioni e generazioni schiave dei potenti, che hanno barattato la libertà di scegliere delle persone con un pezzo di pane. Io vengo da un paese piccolo, collocato in una zona “calda” della Calabria: ho visto miei coetanei finire nelle maglie della ‘ndrangheta perché quella era l’unica opportunità. La lotta alla ‘ndrangheta diventa mera retorica se non si affronta questo piaga: non si spezzano certe catene se non si garantisce occupazione.
La Calabria che non si arrende, si fa conoscere dal mondo, fa innovazione dal basso. Il futuro dell’Italia che passa da qui. Forse.
Detesto il racconto che si accompagna alla Calabria. La Calabria è una terra povera, che vive condizioni difficili, ma mi piace pensarla come una tela bianca ancora tutta da disegnare. C’è già chi ha provato ad invertire il racconto che il resto del Paese fa di noi. Penso ai luoghi di cooperazione ed innovazione che in questi anni sono venuti alla luce e si sono affermate come realtà sui territori. Penso ai ragazzi di Viaggiart, che hanno dato forma e cuore ad un’idea con cui oggi si stanno facendo conoscere dal mondo; penso a Stefano Caccavari che è partito da una risorsa tipica di questa terra, come l’agricoltura, e si è approcciato in modo totalmente innovativo. Sono due esempi tra tanti, di giovani calabresi che hanno creduto nelle loro idee e unito i loro talenti creando realtà che tutt’Italia ci invidia. Non li conosco tutti, ma c’è una cosa che mi ha colpito, per me che vengo da una formazione diversa: la loro intenzione di condividere le esperienze e le conoscenze. Come se le idee che corrono su più gambe sono più forti. Il riscatto di questa terra non dipende da un eroe, ma è un percorso collettivo.
Il sud è anche emarginazione, disperazione, “Voler studiare e non poterselo permettere: nessuno dovrebbe trovarsi in questa situazione. È la storia di sempre dei giovani più bisognosi, soprattutto al Sud. Ed è ingiusta”.
I percorsi di vita dei figli sono sempre più influenzati dalle condizione di partenza dei padri. Questo è ancora più vero da quando la crisi ha ulteriormente indebolito un tessuto economico-sociale già estremamente fragile. Il 30% in meno di ragazzi calabresi immatricolati nelle nostre università non credo sia un caso. Piuttosto è la conferma che sempre meno famiglie possono permettersi l’istruzione dei propri figli e tanti giovani iniziano a pensare che studiare sia diventato inutile. Una verità amara e drammatica, che nel lungo periodo può aggravare la nostra condizione: per vincere la sfida nel mondo globalizzato servono competenze specializzate. Bisogna ridurre le differenze sociali ed economiche del “punto di partenza” se non si vuole tornare ad una società di tipo feudale. In questi giorni, il Presidente Oliverio ha lanciato un primo segnale: 5,4 milioni di euro del nuovo POR 14/20 verranno investiti per far scorrere le graduatorie degli idonei non beneficiari, studenti riconosciuti impossibilitati a sostenere da soli gli studi ma che si vedevano negare un diritto per mancanza di risorse. Un primo passo, che i giovani calabresi aspettavano da molti anni.
Ora servono nuove parole. L’utopia è rimasta, la gente è cambiata, ora la risposta è più complicata. cit.
Sono parole a cui tengo particolarmente. Avere vent’anni, vivere in Calabria e decidere di militare nel più grande partito del paese non è esattamente semplice. Sicuramente è una scelta che ho dovuto giustificare. La risposta è stata sempre la stessa: la politica è una cosa bella e nobile.
Sono sicuramente cambiate le categorie, ma viviamo in un mondo in cui l’1 per cento delle persone possiede la ricchezza dell’altro 99 per cento. Le ragioni per lottare semmai sono aumentate, non si sono estinte. La politica è autorevole se ha la forza di parteggiare, di compiere delle scelte, se riscopre la forza dell’ascolto e della condivisione. In questi anni, fuori dalle mura dei partiti, il mondo è andato avanti. È successo anche in Calabria. Sta a noi capire se vogliamo continuare ad ignorarlo o iniziare ad ascoltare. Ma forse è proprio questo il compito e la missione di una nuova generazione.
Anna è fortemente convinta delle ragioni dell’impegno e della partecipazione.
“Avere una tessera in tasca per me continua ad essere una scelta di vita. Dice con quali occhi guardi al mondo”. Gli occhi di Anna sono quelli della speranza. Perché un’altra Calabria è possibile.