il silenzio
Un regalo che il 2003 dovrebbe portare agli italiani è forse il dono più bello per quanti amano ragionare, discutere, lavorare senza eccessi. E’ il silenzio. Non so quanto sia stato notato, ma tutto attorno è chiasso, urla, grida. Non c’è momento, n’è posto o spazio della nostra vita quotidiana che non siano stati travolti dal rumore, dall’esasperazione. Ovunque impera una confusa enfasi e una forte tendenza all’eccesso .
Ma cosa significa riscoprire il silenzio? Certamente non vuol dire stare muti, tacere, chiudersi in se stessi. Il silenzio è l’assenza del frastuono e del chiasso senza limiti. Ma il silenzio è anche imparare ad ascoltare gli altri senza interromperli; è porsi in condizione di comprensione per le idee e le convinzioni altrui; è mettere in discussione se stessi senza rinunciare a quello in cui veramente si crede.
Il silenzio è il rifiuto della volgarità: in un Paese in cui anche chi ricopre alte cariche istituzionali fa ricorso ad espressioni triviali (‘lascia perdere quei coglioni” ha detto qualche giorno fa in Parlamento un ministro riferendosi ad alcuni deputati!), niente è più gradito di un ritorno al rispetto, alla serenità del giudizio, alla moderazione.
Gli ultimi decenni del secolo scorso sono stati caratterizzati dal rincorrere i sogni di una ricchezza immediata e facile, dalla velocità nel raggiungere gli obiettivi, dalla voglia di conquistare successo e denaro senza alcun condizionamento. Sul finire degli anni ’90 e con l’inizio del terzo millennio ci ritroviamo con pochi risultati in mano e tanti timori per il futuro. Tutto è in discussione, perfino il futuro della civiltà occidentale non sembra così roseo. Nel mondo avanzano miseria e povertà, la ricchezza del pianeta è appannaggio di poche persone. La cultura americana- che ha fortemente contagiato quella euopea- dell’eccesso, della corsa, del potere e della ricchezza non ha più una prospettiva. Fino a quando tre quarti dell’umanità rimane povera, segregata, ammalata e incolta nel mondo non ci sarà pace. Vera pace, che vuol dire giustizia. In oriente il tempo scorre molto più lentamente di quanto non scorra nell’occidente industrializzato. L’orologio si muove adagio, sembra dare più tempo per le cose più semplici e più belle: pregare, dialogare, guardare e ammirare la natura. Da noi corre (tempus fugit), non dà tregua, cancella le pause. Ogni aspetto della nostra vita quotidiana è condizionato dal tempo che fugge, e noi ad inseguirlo senza alcuna possibilità di raggiungerlo mai.
La fretta condiziona le nostre scelte, le falsa. In politica, nell’economia, nella società tutto è frutto del tempo che ha accelerato troppo i suoi passi. Da qui gli eccessi, il frastuono, il caos…. la voglia di silenzio. Di fare una pausa per riflettere, di ascoltare il passo lento di chi non ha più un lavoro, di chi non sa come curarsi. Dio solo sa quanto ci sarebbe bisogno di cominciare la giornata passando per dieci minuti, solo dieci minuti, da una chiesa aperta, e vuota. Per riflettere, per capire. Prima di tutto noi stessi, la nostra ansia, le nostre paure.
O quanto ci sarebbe bisogno di fermarsi, il pomeriggio, la sera, per leggere le pagine di un libro, ascoltare un po’ di musica, oppure uscire da casa, dopo cena, dopo avere spento quel dannato elettrodomestico che si chiama televisione. Passeggiare per mezz’ora nel centro storico, tornare ad ammirare i palazzi e i monumenti, alzare gli occhi al cielo e scoprire che ci sono ancora le stelle. La luna.
Sono cose forse rivoluzionarie? Sono cose semplici, delle quali abbiamo perso il gusto, ne disconosciamo perfino l’esistenza chiusi come siamo nelle nostre ansie quotidiane, distratti dalla fretta, rincorsi dal tempo che non ci dà tregua.
Francesco d’Assisi ha cominciato una rivoluzione nella chiesa scoprendo la bellezza e la semplicità del Creato….. “fratello sole e sorella luna…”. Noi, più semplicemente, abbiamo bisogno di scoprire la voce del silenzio.