Il ruolo dei partiti
A cosa servono i partiti oggi? Quale la loro funzione e il ruolo nell’epoca del maggioritario e dell’elezione diretta di sindaci e presidenti?
Domande semplici che nascondono un problema complesso, che pure dobbiamo porci per capire a cosa serva oggi militare in un partito, esserne gruppo dirigente o attivista impegnato.
Non c’è dubbio che con l’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti di province e regioni, il ruolo dei partiti non è più quello che abbiamo conosciuto negli anni della prima repubblica. Tempi in cui il potere dei partiti era immenso e finiva per incidere profondamente nelle istituzioni, nell’economia e nella finanza del Paese. Un potere che in diversi casi scivolava nello strapotere, debordava nell’arroganza fino a confondere Stato e partiti.
Ma i partiti non erano solo ‘potere’ inteso come gestione, affari; i partiti erano anche, spesso soprattutto, elaborazione di idee e progetti, sintesi delle esigenze della società, scuole di politica e cultura, soggetti rinnovatori e riformatori dell’apparato pubblico.
Altri tempi, altri partiti.
Con l’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti di province e regioni, il ruolo dei partiti non può più essere lo stesso di un tempo ormai sepolto. E di fatto non lo è più. La responsabilità della gestione è tutta in mano agli eletti, che decidono i tempi e i modi dell’attuazione del programma con il quale si sono presentati al corpo elettorale. Ed è corretto che sia così; un po meno la totale distanza dai partiti.
Può essere forse eccessivo il potere che gli eletti oggi hanno, se ne può discutere e magari elaborare dei correttivi, ma tant’è. E con questo sistema dobbiamo fare i conti.
I partiti sono in ritardo nel reinventarsi un ruolo e una funzione, finendo di questo passo per apparire inutili. I riferimenti degli elettori sono divenuti i primi cittadini e i ‘governatori’; le sedi dei partiti sono vuote, spesso chiuse, intere classi dirigenti rappresentano solo se stesse e i loro desideri.
Quale può essere, allora, il nuovo ruolo dei partiti? Semplice cartello elettorale o centro di studio ed elaborazione di programmi e progetti politici? Forse entrambe le cose. Ma mentre il primo ruolo è già nei fatti (i partiti preparano le liste, conducono le campagne elettorali, chiedono il consenso ai cittadini e poi finiscono ogni funzione), il secondo è piuttosto lontano. Eppure senza questo nuovo ruolo è del tutto inutile militare e partecipare alla vita dei partiti, tanto più che ci si avvicina rapidamente alla scelta dei candidati con le primarie (per l’elezione di sindaci, presidenti e parlamentari) finendo ben presto per togliere alle organizzazioni politiche l’ultimo importante potere rimasto.
Fare dei partiti delle vere e proprie scuole di politica, centri di elaborazione di idee progetti, punto di riferimento per i cittadini è l’ultima occasione che essi hanno per continuare a svolgere un ruolo nella società del terzo millennio. E di questo ruolo si sente un gran bisogno. Oggi si arriva alle istituzioni, sempre tramite le elezioni, senza che i candidati e quindi gli eletti abbiano maturato un sufficiente percorso politico, si siano confrontati nelle sezioni, abbiano compreso i limiti e la grandezza della militanza, della partecipazione. Questo ha prodotto una classe politica stanca, spesso mediocre, forse inadeguata ad affrontare i gravi problemi dei nostri tempi. Il ruolo dei partiti può essere determinante nel dare vita ad una classe dirigente moderna, preparata, capace. Il limite grave che si ritrova chi si affaccia alla vita politica senza una buona dose di militanza è la scarsa passione politica e la forte debolezza ideale. Riscoprire passione e ideali è fondamentale per attrezzarsi a gestire un mondo così difficile e complesso, che non ammette mediocrità né inconsistenza. I partiti devono riscoprire il gusto di studiare gli eventi per proporre nuove idee, di elaborare strategie per dare vita a nuovi percorsi culturali. Tornando ad essere ‘scuola di vita e di politica’, i partiti possono reinventarsi un ruolo forte nel proporre modelli di sviluppo che gli amministratori pubblici possono realizzare negli Enti Locali e nei Governi. Facendo questo, si può evitare che sindaci e presidenti si sentano soli. E si sentano troppo potenti. Si allontanino rapidamente dal rapporto e dal contatto con la società che governano e con i partiti che li hanno prescelti.
Potere e gestione: i limiti e la sfida di chi governa. Ma se manca la mediazione e il confronto, il potere si fa arroganza e la gestione diventa il fine unico. Così facendo muore la politica. E a governare gli Enti pubblici basteranno gli Amministratori delegati, probabilmente più bravi e preparati, che dovranno semplicemente far quadrare i conti.
Franco Laratta