Il guardiano della rivoluzione manciniana
Il ricordo di Gigi Ladaga
Da Il Quotidiano di giovedì 12 gennaio 2006
Ho conosciuto Gigi Ladaga durante i cinque di Giunta provinciale dal 1999-2004. Presidente Antonio Acri, Ladaga entrò in Giunta in quanto espressione autentica del Pse di Giacomo Mancini, sindaco della città di Cosenza e consigliere provinciale insieme a Mancini Jr.
Ladaga, Mancini, Mancini Jr: una squadra straordinaria alla Provincia, passato e futuro insieme, cultura politica daltri tempi che si proiettava nellattuale, condizionandolo, per tracciare una prospettiva nel nome di una nuova stagione socialista.
Ho avuto scontri duri con Gigi Ladaga, il guardiano della rivoluzione manciniana, uomo colto, spirito libero e superbo, che portava con sé un pezzo di storia del socialismo italiano, sempre targato Mancini. E poco importa se per Gigi la storia si divideva in due parti (prima di Mancini e dopo Mancini; ma il dopo non era altro che una prosecuzione del prima), quello che conta è che lui ci credeva davvero. E alla fine ti convinceva pure!
Diceva, sempre con estrema franchezza, tutto quello che pensava, senza alcuna forma di mediazione. E non consentiva a nessuno che la verità socialista venisse messa in discussione. Anche se sapeva essere critico con le vicende più o meno recenti, non concedeva nulla alla mediazione cattolica o allappartenenza comunista o ex comunista. Dc e Pci: altra cosa per i socialisti autentici come lui, che non hanno mai amato i cattolici e i comunisti in politica.
Con Ladaga non era facile andare daccordo, perché amava il confronto duro e vero. Eppure fra me e lui nacque unamicizia non prevista né cercata, vera perché priva di qualsiasi interesse, confermata da tante sue lettere che mi ha mandato durante i cinque anni di lavoro comune in Provincia, e anche dopo. Scritte sempre con linchiostro verde!
Proposte, suggerimenti, rimproveri: ma era lansia del rinnovamento che lo spingeva allinquietudine costante; il desiderio di fare per bene tutte le cose; il culto dei particolari; la forza, in puro stile manciniano, di guardare sempre avanti, sempre lontano, sempre diverso. E alternativo.
Sembravamo così lontani luno dallaltro, non fosse altro per i circa 40 anni che ci separavano nelletà, ma anche perché io cattolico e lui ateo e anticlericale convinto (ma amavamo entrambi Paolo VI, quale papa moderno e illuminato, sul cui pontificato abbiamo ragionato a lungo), e poi per una diversa visione della politica italiana del passato e del presente.
Eppure ci parlavamo molto, ci scambiavamo libri di un certo valore che poi commentavamo, avevamo insieme unidea diversa dei partiti, ma eravamo convinti che quelli attuali non reggevano più davanti alla profonda trasformazione della cultura e della società. Entrambi infine, pur lontani per formazione e appartenenza, immaginavamo un Paese più moderno e una Calabria finalmente libera dai bisogni.
Quanto scritto per Gigi in questa breve nota, non dà, né poteva dare, lidea completa e chiara di una personalità così complessa, così decisa, così impegnata in tanti campi e per tanti decenni, così innamorato di un uomo straordinario qual è stato Giacomo Mancini da fondersi e confondersi con lui.
Voglio soltanto testimoniare il fatto di avere conosciuto e apprezzato un uomo di grande cultura politica, profondo conoscitore della Calabria e dei calabresi, nemico giurato dellarretratezza storica di una certa classe politica regionale.
Non sempre si poteva condividere quello che diceva e faceva, anche per i modi fin troppo espliciti; però Ladaga era senza dubbio un calabrese autentico, che aveva scelto un ruolo di secondo piano, senza sapere che in realtà la sua è stata una storia di primissimo livello.
Ciao Gigi.
Franco Laratta