E venne quel drammatico 25 aprile. Il Paese era tutto un incendio. La gente in rivolta!
Quattordici parlamentari saranno impiccati domani in Piazza di Montecitorio!
Così titolarono i maggiori quotidiani nazionali nel pieno di un’infuocata e drammatica estate.
I disordini scoppiati in tutto il Paese sono sfociati in clamorose azioni ‘punitive’ contro una classe dirigente ritenuta colpevole del disastro economico-finanziario che aveva portato ad una diffusa povertà: 8 milioni di cittadini vivevano in piena povertà, praticamente ridotti alla fame. Le sedi di diversi consigli regionali erano state assaltate e incediate nei giorni precedenti; bombe carta contro le sedi dei partiti di governo, contro i sindacati e le istituzioni nazionali. Davanti al Palazzo del Governo stazionavano, giorno e notte, centinaia di ‘indignatos’: nessun membro del governo si era più visto entrare nel Palazzo, lo stesso presidente del Consiglio era come scomparso, forse fuggito all’estero.
La Manovra Finanziaria di 80 miliardi di euro aveva messo in ginocchio il Paese, non aveva soddisfatto i mercati che avevano ripreso a correre come sulle montagne russe, aveva provocato l’uscita del Paese dalla moneta unica, trascinando l’Europa in una crisi senza precedenti.
La gente, innervosita per i troppo sprechi, i mancati tagli ai costi della politica, le profondissime diseguaglianze sociali, la povertà imperante, la vertiginosa crescita della disoccupazione, voleva vedere il sangue scorrere, chiedeva ‘giustizia esemplare’ contro i colpevoli del collasso del Paese. E la giustizia aveva cominciato a farsela da sé.
A nulla erano valse le manovre correttive successive: ridotti del 50% i costi della politica, eliminati sprechi e privilegi, dimezzato il numero dei parlamentari, chiusi molti enti inutili, soppresse decine di costose strutture dello Stato. Niente, non bastavano più nemmeno queste scelte durissime, giudicate tardive e addirittura insufficienti dai cittadini. Andavano fatto prima, molto prima.
Il Paese viveva ormai da molto tempo al di sopra delle sue possibilità, accumulando debiti su debiti, sprecando risorse ed energie. Il debito pubblico cresceva a dismisura anno dopo anno e aveva toccato nuovi stratosferici record. L’evasione fiscale era ormai fuori controllo: ogni anno le casse dell’erario perdevano dai 100 ai 120 miliardi di euro! Praticamente un cittadino su due evitava di pagare in parte o in toto le tasse, mentre i più furbi, o meglio i più delinquenti, erano riusciti a portare all’estero una tesoro gigantesco di 500 miliardi di euro!
Fino a qualche anno prima si andava in pensione con soli 16 anni e 6 mesi di contributi. I manager delle società pubbliche, anche di quelle portate al fallimento, godevano di trattamenti di fine rapporto di centinaia di migliaia di euro. I divi e i calciatori firmavano ingaggi miliardari, così anche i conduttori di Sanremo o i giornalisti della Rai.
Da un certo punto in poi c’era stato un vero e proprio assalto alla diligenza: dai politici ai magistrati, dai dirigenti ai professionisti, dai partiti ai sindacati, dalle banche alle imprese. Un assalto fatto di privilegi, tutele, rimborsi, caste, ordini, lobby
veri e propri furti legalizzati. Un assalto alle finanze dello Stato durato decenni. E poi i clamorosi sperperi di denaro pubblico: opere faraoniche del tutto inutili e molte nemmeno ultimate, sprechi spaventosi di risorse finanziarie, strategie industriali sbagliate, cattedrali nel deserto costate centinaia di miliardi di lire.
Un Paese che viveva con un governo la cui durata media non superava i 9 mesi, che per mantenersi in vita contrattava con opposizioni e sindacati, e ognuno doveva ottenere un risultato, per una categoria, una lobby, un clan, una loggia. Tanto pagava sempre lo Stato, e tutto si scaricava su quella montagna di debito pubblico che cresceva a dismisura anno dopo anno.
La fine della prima forma di repubblica, sepolta dalle macerie della corruzioni e delle tangenti, non portò nulla di buono. La seconda, infatti, fu la repubblica degli scandali e degli sprechi, della corruzione ancora più devastante, delle leggi ad personam, dei condannati e delle veline spediti in parlamento, mentre un imprenditore miliardario, figlio dell’antipolitica e della peggiore espressione della precedente repubblica, conquistò e governò il Paese per un quindicennio.
I cittadini erano furibondi. Sapevano benissimo che la corruzione costava allo Stato 60 miliardi di euro all’anno: ma nessuna legge, nessuna inchiesta da Mani Pulite in poi, ha potuto fermare quella devastante piaga, quasi una punizione biblica per l’economia del Paese e per le casse dello Stato. Dall’ultimo impiegato del catasto fino al primario, dall’assessore del più piccolo comune al ministro del Governo, dall’imprenditore al magistrato, dal prete al cardinale, il Paese è stato divorato lentamente, giorno dopo giorno, da tutti coloro che gestivano un minimo di potere, un incarico, un posto pubblico.
Intanto i giovani rimanevano senza lavoro. Successivamente in molti furono costretti a fuggire all’estero, le famiglie rimasero senza risparmio, il sistema produttivo, che per anni aveva fatto crescere il Paese, era ormai in agonia.
L’inizio del Nuovo Millennio non aveva portato nulla di buono. Perfino la moneta unica europea non risolse i problemi. Entrò in vigore senza alcun controllo, provocando così, sotto gli occhi impotenti di cittadini e istituzioni, la più colossale truffa organizzata ai danni dei consumatori. I prezzi di fatto raddoppiarono, gettando nel panico i cittadini e le famiglie, mentre gli stipendi pubblici rimasero di fatto fermi.
La grande manovra, quindi, fu il colpo di grazia per un Paese già fiaccato, praticamente in ginocchio. Eppure per il governo ‘i conti sono in sicurezza’ (il ministro dell’ economia qualche mese prima); ‘la crisi è solo psicologica’ (il presidente del Consiglio sin dal primo momento della crisi); ‘faremo solo una manutenzione dei conti per 3-4 miliardi (il ministro dell’economia); il peggio è passato (il presidente del consiglio). Poi…quasi d’improvviso, la più grande manovra finanziaria dal dopo guerra: ‘sarà di 40 miliardi’ (il solito ministro dell’economia, smentendosi); siamo come sul Titanic, rischiamo di affondare tutti’ (ancora il ministro nell’annunciare la manovra di 79 miliardi, il doppio di quanto previsto).
La rabbia dei cittadini si fece allora sentire forte, sempre più forte: il web scoppiava!
Il governo e la maggioranza non capirono per tempo, e mantennero i privilegi della politica, perdendo un’occasione irripetibile. Occorreva infatti un segnale forte e chiaro, una condivisione dei sacrifici da parte dei dirigenti politici del Paese, ma niente; forse anche la stessa opposizione -che pure aveva presentato un coraggioso emendamento alla Manovra con notevoli tagli ai costi della politica- aveva sottovalutato la necessità primaria di mandare un segnale al Paese. Soprattutto perchè la classe politica dominante aveva dato il peggio di sé e il governo aveva sbagliate tutte le previsioni. Chi guidava, a furor di popolo, il Paese non aveva previsto né capito la portata drammatica della crisi economica. Una classe politica dirigente che aveva fallito su tutti i fronti, governando per anni all’insegna delle bugie e della sottovalutazione dei problemi.
E’ chiaro: nessuno si lamenta se un idraulico, un chirurgo, fa prezzi più alti del dovuto, a patto che sia bravo, capace e rispettoso. Ma non si può sopportare un idraulico, o un chirurgo, troppo costoso, maleducato, inefficiente e inefficace!
La politica non aveva capito, in quei giorni drammatici, che il Paese aveva bisogno di un messaggio forte, di un gesto importante che facesse pagare un prezzo a tutti, da chi stava meglio fino a chi stava peggio, da chi governa fino all’ultimo cittadino, nelle dovute proporzioni. Facendo pagare di più a chi stava bene e qualcosa anche al cittadino con pochi mezzi.
In quel momento il Paese era praticamente tutto un incendio. Crollò il governo, il presidente venne deposto.
Era il 25 luglio!
Franco Laratta