È una questione di tempo!
Una società sempre più nervosa e complessa ci sta sfilando con destrezza quello che per S. Agostino era lestensione dellanima: unestensione tra la memoria del passato, lintuizione del presente e lattesa del futuro. Parliamo del tempo, artificio umano che misura la successione degli eventi, da sempre oggetto di studi filosofici e scientifici, e che nella storia ha stimolato schiere di pensatori interessati a coglierne il senso più profondo: il tempo scorre tanto per citare un antico dilemma o la sua percezione è soggettiva, influenzata dai nostri sensi?
È da Seneca, però, che attingiamo il monito di cui sono in parte impastate queste riflessioni, che non hanno pretese accademiche ma traggono spunto da uno dei miei frequenti viaggi a bordo di un vecchio e comodo Intercity che mi culla settimanalmente fino a destinazione. Il filosofo latino sostiene con fermezza che il presente è lunico tempo che viviamo, perciò deve essere valorizzato, non sprecato gli uomini non possono lamentarsi della brevità dellesistenza se poi si rivelano spreconi e incapaci a dominare il tempo: esigua, infatti, è quella parte di vita che vivono davvero, tutto il resto è tempo.
Mi chiedo allora se gli affaccendati di cui parla Seneca, nei quali una modernità parossistica ci ha trasformato, siano ancora oggi figure biasimevoli, come riteneva il filosofo, che aggiungeva: nessuna cosa può esser ben gestita da un affaccendato poiché un animo intento a più cose nulla recepisce in profondità e il suo presente si risolve in una catena di istanti che presto svaniscono.
Parrebbe di sì, è la mia risposta, se è vero che il time poverty, la mancanza di tempo (subìta, o procuratasi per eccesso di ambizione e aggiungo – sopravvalutazione delle proprie risorse), è stata promossa a sindrome nei paesi sviluppati e influisce negativamente sulla qualità della vita dei suoi abitanti.
Siamo costretti a consumare, dilapidare il tempo, tutto il tempo a nostra disposizione, in decine di impegni quotidiani, dilatati da spostamenti sempre più assidui, sempre più lenti per colpa di una comune frenesia al volante che paralizza le città, sul cui asfalto le lunghe code di automobilisti impazienti e frustrati sembrano oramai disegni indelebili. Non una pausa, un momento di riflessione, eppure le angosce, i problemi quotidiani ci sono, pesano, rendono le azioni meno fluide e coordinate e bruciano altro tempo!
Il tempo che scivola via, una perenne sensazione di urgenza, sono sintomi evidenti che la nostra società è amministrata, disciplinata da un orologio universale, trasformatosi in un cronometro inflessibile che non lesina sui centesimi e che misura la nostra efficienza, rileva il nostro stress quotidiano, estromettendo dal sistema coloro che non fanno registrare buone performance. È su questi numeri che viaggia da almeno 30-40 anni questa società del benessere (quale?), del consumismo e della spazzatura. Ma non è bastato tutto questo. Perché ora si è alzata lasticella, inducendo le persone, tutte le persone, a fare di più e ancora più in fretta, pretendendo velocità folli in una corsa il cui premio al traguardo non è chiaro, tanto meno si è certi sul gradimento di esso da parte dei cittadini, operatori supini al servizio del tempo.
Le lancette isteriche, segno distintivo delle metropoli, oggi scandiscono, a giri un po più moderati, le vite in perimetri urbani tradizionalmente vivibili,
La velocità si è insinuata anche nelle nostre periferie mediterranee, una volta elogiate (e biasimate) per un modello di vita non condizionato dal tempo. Anche qui, le buone abitudini, il tempo per sé, lo spazio per leggere un libro o per ascoltare un disco sono stati stretti in un angolo, compressi quasi del tutto. Correre, correre sempre più è limperativo dogmatico dei nostri giorni. E allora vengono costruite automobili per andare a 240 km/h e i treni hanno iniziato a perdere la classica rassicurante andatura per puntare all Alta Velocità. Ogni città ha preteso il suo aeroporto, la sua autostrada, la sua linea veloce. E siccome questo non bastava, si è cominciato a scavare i tunnel per la TAV. All’estero avevano già fatto prima di noi.
La frenesia dell’uomo moderno ha messo radici anche nella famiglia, oramai non più ritrovo senza tempo, angolo di rilassato confronto: ci si vede al massimo la sera per cena, meno slow di un tempo, magari uno snack in piedi come in un qualunque buffet, con la tv da terzo incomodo (ora il pc o il cellulare sul tavolo), e al mattino si riprende a correre.
Corsa che non risparmia il prete, spinto a dir messa in 30 minuti al massimo, e il medico, colto sempre più in flagrante a scrivere un ricetta ‘sulla parola’ perché non ha più il tempo di visitare il paziente. Ci sono imprese in più parti del mondo che costruiscono un palazzo in dieci giorni e una strada in poche ore. Ma poi se nevica a gennaio si grida alla scandalo (perché la neve è un ostacolo al correre del tempo), se fa caldo ad agosto è un’emergenza.
La fretta dell uomo si evince anche dal poco tempo oramai dedicato ai rapporti interpersonali, sostituiti con surrogati più fast come le amicizie in rete, gli incontri virtuali in chat e social network, che richiedono meno sacrificio e che possono stringersi o liquidarsi con un colpo di mouse.
Molti hanno almeno due telefonini, un pc, un portatile, l’Ipad…. La tecnologia ha sposato il tempo. Insieme hanno modellato la vita delle persone: eternamente collegate, sempre on-line, ma di fatto assenti nei luoghi reali. Tutto si può fare grazie alla tecnologia: governare la casa a distanza, cercare un ristorante, chiamare in Cina, farsi visitare dal medico e perfino essere teleoperati da un grande chirurgo.
Il legittimo entusiasmo per il nuovo viene smorzato dalla constatazione che noi, in realtà, non controlliamo più niente. Siamo i figli della società tecnologica e presto delegheremo il computer (prossimo allusurpazione) a pensare, provare emozioni, decidere al posto nostro.
Ma se d’improvviso tutto rallentasse? se, svegliandoci al mattino, le lancette di quel maledetto orologio decidessero di adottare andature più blande? La prima colazione che dura di più, lautomobile meno rampante, le file più corte, scambi sui mercati internazionali meno convulsi, il medico più cordiale, l’amico più disponibile, la famiglia radunata a pranzo, più tempo per gli affetti, per una passione, per il proprio cane, per quel libro sul comodino
E se un minuto durasse davvero 60 secondi, un’ora 60 minuti… se tutto fosse più ragionato ?
Si produrrebbe di meno, ma forse a beneficio della qualità. Si consumerebbe poco, arginando linquinamento da rifiuti, per i quali necessitano sempre più discariche. Si darebbe, in generale, più importanza al dettaglio e più valore alle priorità della vita. Ci si vorrebbe più bene.
Se il tempo è la vita stessa dell’uomo, a cosa serve allora consumarla tanto in fretta? Il grado di lentezza scrive Milan Kundera – è direttamente proporzionale all’intensità della memoria, il grado di velocità è direttamente proporzionale all’intensità dell’oblio. E una società con una memoria corta, fatta di cittadini-automi che si muovono meccanicamente ai ritmi forsennati impartiti dalla modernità non è il migliore dei mondi in cui vivere.
Franco Laratta
(scritto sul treno Paola-Roma, Intercity 728, con almeno 50 anni di vita, che viaggia lentamente. Eppure comodamente).