Duonnu Pantu- Erotismo e sensualità
«Bonsegnù, bonsegnù futtete lossa, lu vicariu allu culu e tu alla fissa: vica si nun me cacci de sta fossa, lu dicu chai imprenatu la patissa.»
«La patissa?! La patissa?! Ve ne rendete conto? Cosa sono queste minacce poetiche da osteria? Don Piro dovrà essere fermato, chiuso, segregato!»
«Sua eminenza, Don Piro è solo un prete di paese, non può nuocere a nessuno. Oltre suoi i sfrontati racconti che riserva alla gente del posto, non cè da preoccuparsi.»
«Te lo ordino! Andrai da lui per farlo redimere, non voglio più sentire o vedere le sue poesie piene di orrende oscenità. Ci pensi se una cosa del genere arriva a sua Santità? Non oso neppure immaginare cosa potrebbe succedere! Ora vai e cancella ogni prova, i suoi scritti non dovranno esistere da oggi fino alla fine dei tempi.»
La cella umida renderebbe poco scrivibile ogni foglio di carta presente, ma non per Duonnu Pantu, il suo lapis è indelebile, versi scolpiti nella sua mente.
«Don Piro, buongiorno.»
Teso e serio come un avvocato al suo primo giorno di processo -«Buongiorno Don Miché, cosa ti preoccupa? Forse sua eminenza illustrissima ha mandato te per farsi perdonare dai suoi peccati?»
«Don Domenico carissimo, voi state scherzando con il fuoco e prima o poi vi brucerete. Ho provato a dire che le vostre sono solo frasi e storielle per rallegrare i vecchietti del paese, ma sua eminenza non vuole comprendere e non può accettare che un prete racconti di sesso ed altre oscenità.»
«Oscenità non sono le mie parole, quelle tali restano, solo parole; oscenità è colui che dietro il simbolo di Cristo in croce nasconde i suoi peccati, fidati: è meglio un prete poeta vestito da suorache un cardinale falso vestito da niente.»
«Don Piro redimetevi finché siete in tempo.»
«Redimermi?! Per cosa?! Vi prego Don Michele, non parlate con la bocca del cardinale, già troppe bocche hanno saziato la sua enorme cupidigia.»
«Lo dico e lo nego, magari questo lo è vero, ma vi prego cancellate i vostri versi, affinché sua eminenza della sua bontà possa avvalersi.»
«E bravo a Michele. Vedi? Anche tu se vuoi ti esprimi in versi. Avantatinne, e ncricca lu mustazzu. E mò chi sì puetune, anzi puetazzu, famme na rima a stu curmu de cazzu!»
Don Domenico Piro (Duonnu Pantu)
La storia ci parla in maniera tragica della Calabria del 600 e del 700. Siamo in pieno dominio spagnolo ed austriaco. Con il dominio spagnolo continuò la decadenza della Calabria, mentre isolamento dalle correnti di traffico, banditismo e prepotenze baronali afflissero la Calabria che soffrì anche per le aggressioni dei Turchi.
Lassoggettamento dellItalia agli Spagnoli, la salvò dalle barbarie cui lavrebbe ricondotto la signoria turca, alla quale, da sola e divisa, non avrebbe potuto sottrarsi. Ma nella realtà dei fatti, per la Calabria non fu proprio così.
Le avversità naturali (i grandi terremoti del 1658 e del 1659), le pestilenze e le carestie provocarono gravi conseguenze per la popolazione calabrese.
Dal punto di vista amministrativo, gli spagnoli mantennero la divisione della Calabria in due province: Citeriore con capoluogo Cosenza ed Ulteriore con capoluogo prima a Reggio e quindi a Catanzaro.
Seguirono altri anni drammatici, tra carestie devastanti e terremoti altamente distruttivi. Racconta lo storico Armando Orlando che la carestia del 700 interessò tutto il Regno e costituì un ostacolo allincremento demografico delle province. A Cosenza, oro e argento venivano venduti per acquistare generi di prima necessità e, ovunque, i prezzi salivano vertiginosamente. Nelle campagne imperversavano i ladri di vettovaglie. Nei Casali della città bruzia, gli abitanti rimasero senza panenutrendosi di erbe selvagge e quando con la successiva annata agricola la situazione alimentare sembrò migliorare, unepidemia di peste colpì le terre dei casali e si diffuse rapidamente nei paesi del Vallo, causando la morte di migliaia di persone.
Non meno gravi sono le conseguenze della dura repressione messa in atto in Calabria dallInquisizione.
Ne parla Chiara Marcasciano ne Linquisizione nel regno di Napoli:
lattività dellInquisizione napoletana, anche in relazione ai modelli e alle strategie inquisitoriali in alcune comunità della Calabria, si distinse per lefferatezza e il massacro, manu militari, di quelle popolazioni.
In questo quadro allucinante di una Calabria disperata, alla fame, colpita da una serie interminabile di disastri, si inquadra la figura di un giovane prete di Aprigliano (Cs), don Domenico Piro (conosciuto come duonnu Pantu!) nato nel 1664, morto a soli 35 anni. Una lapida posta nella chiesa di Santo Stefano lo ricorda, ma per il resto non è rimasto nulla di lui. Si è lavorato molto per cancellare ogni traccia del suo passaggio.
Figura anomala, per molti aspetti unica in Calabria e nel Mezzogiorno, è da considerarsi il primo poeta dialettale della nostra regione. Ma nei fatti venne cancellato, la sua memoria e i suoi scritti caddero nelloblio.
Ed una ragione cè! Don Domenico Piro, come ci ricorda un testo di Luigi Gallucci del 1833 (pressocchè introvabile)
e quantunque da suoi scritti sembrasse di una condotta depravata, dissoluta e scandalosa, pure tutti concordemente vogliono che fosse stato bene allapposto di un carattere esemplare per buon costume, continenza e religiosità.
Larcivescovo di Cosenza, Sanfelice, conosceva ed apprezzava il sacerdote rigoroso, ma si lamentava di quanto scriveva, tentando in più occasione di impedirglielo, di censurare i suoi versi, arrivando anche a farlo arrestare.
Ma perchè don Domenico, uomo puro e casto, si dedica alla composizione di versi da contenuti erotici, assolutamente espliciti nel descrivere scene di amore e di sesso? Lo stesso Luigi Gallucci, che ha a lungo studiato la figura di duonnu Pantu e ne ha pubblicato i suoi versi impedendone la loro scomparsa, tende a credere che lo facesse solo per divertire gli amici, per rendere meno gravi le condizioni di vita dei giovani del tempo.
A me invece pare di capire, leggendo anche un recentissimo studio universitario del giovane Arturo Fera di Cellara, che don Domenico Piro in realtà intendeva, attraverso le composizioni erotiche, contestare e combattere lipocrisia che regnava sovrana, condannare e rendere pubblica la condotta dei potenti del tempo (clero compreso) e soprattutto ridare forza e coraggio ai giovani. Raccontare il sesso, nonostante lo scritto appaia osceno, non è altro che unarma potentissima. Unarma contro ogni forma di violenza che il popolo era costretto a subire; unarma contro le povertà devastanti cui erano costretti a vivere i calabresi. Un modo potente, sebbene innocuo, di rivendicare libertà di espressione, libertà di muoversi e agire, libertà di contestare e opporsi ad un sistema di potere che impediva qualsiasi diritto, qualunque prerogativa, ogni forma di libertà civile e religiosa.
Ma non dimentichiamo che le opere di don Domenico Piro, sono prima di tutto poesia, pura e coinvolgente poesia.
Iniziamo subito nel presentare don Domenico.
Si racconta che lArcivescovo di Cosenza, mons. Gennaro Sanfelice, fece arrestare don Domenico per via dei suoi scritti (ricordiamo che imperversava in Calabria una spietata forma di inquisizione), ma poi, colpito dalle preghiere e dalla bontà danimo del giovane sacerdote, promise che lavrebbe scarcerato dopo pochi giorni. Don Domenico allora tornò in cella, ma in realtà non fu scarcerato subito (pare che il vescovo si fosse irritato per il cartello che il prete fece affiggere allingresso della cella: SI LOCA!). Lironia non venne apprezzata. Allora don Domenico giocò un brutto scherzo a Mons. Sanfelice. Utilizzando alcuni ragazzi che gli facevano visita in cella (il prete era molto conosciuto negli ambienti giovanili), recitò loro alcuni versi piuttosto osceni. I ragazzi avrebbero dovuto recitarli direttamente al vescovo nel momento in cui si sarebbe presentato alla prima cerimonia religiosa.
Così fecero i ragazzi che recitarono al Monsignore questi versi: Bonsegnù bonsegnù futtete lossa, lu vicariu allu culu e tu alla fissa: vica si nun me cacci de sta fossa, lu dicu chai imprenatu la Patissa! Don Domenico avvisò così il Vescovo: o mi fai scarcerare o racconto a tutti che hai una storia con la madre badessa! Avvertimento chiaro che spaventò non poco il Vescovo che, pur ammonendolo duramente, decise di rimandarlo ad Aprigliano, con una punizione: gli impose di scrivere una lode alle beatissima Vergine Maria. Ma è chiaro che il buon don Piro, pur obbedendo al Monsignore, non riuscì a trattenere la sua vena ironica e pungentee, alla fine della composizione che elogiava la verginità di Maria, se ne uscì con questi versi: E nzica chi campau la mamma bella, de cazzu nun pruvau na tanticchiella! Anche il Vescovo, comprendendo lironia per certi aspetti innocua e mai blasfema, non riuscì a trattenere una risata! In effetti i suoi versi, per quanto chiari ed espliciti, non apparivano mai volgari e offensivi. Ovviamente il Vescovo non poteva consentirgli di continuare a pubblicare le sue composizioni, visto il clima che si viveva in quegli anni, e arrivò quindi a minacciarlo di non ordinarlo sacerdote (era ancora diacono) se non la smetteva di scrivere poesie con quei contenuti altamente erotici.
Don Domenico però, non riusciva proprio a resistere. Obbedendo formalmente al Vescovo trovò un escamotage: si vestì da anziana donna cosentina e recitò una sua nuova composizione erotica (la splendida Jisti de pinnu) davanti al noto poeta napoletano Nicola Capasso, di passaggio da Cosenza, che rimase colpito da quei versi. Conobbe così don Piro, apprezzando immediatamente le sue opere.
Jisti de pinnu è un sonetto particolarmente riuscito che si conclude così:
Fore maluocchiu! Fai viersu a lu vulu.
Avantatinne, e ncricca lu mustazzu.
Ca le Muse curtiggianu a tie sulu.
E mò chi sì puetune, anzi puetazzu,
famme na rima a stu curmu de cazzu!
(Oscar Lucente la traduce così: Senza alcuna invidia! Fai versi improvvisando, vantatene e rallegrati attorcigliando i baffi, giacché le muse corteggiano te solo. E adesso che sei gran poeta, anzi poetazzo, fammi una rima a questo buco di culo ed un sonetto a questo tronco di cazzo!
Il tentativo di recuperare la memoria e le opere di questo grande poeta dialettale calabrese è in atto negli ultimi anni nel comune di Aprigliano, grazie allimpegno dellAssessore alla Cultura Giulio Le Pera e alla presidente della Pro-Loco Vincenza Le Pera. Di grande importanza, il lavoro del Dirigente scolastico Oscar Lucente che ha tradotto in italiano le opere di don Domenico per renderle accessibili ad un pubblico che non comprende bene il difficile dialetto di Aprigliano. Di recente è stato pubblicato un bel volumetto, con un cd audio, con le poesie del sacerdote: Duonnu Pantu
senza se e senza ma.
Dicevamo che don Domenico è stato un prete di grande cultura e di notevolissima vena poetica. Ma prima di tutto egli è da considerarsi come il primo vero poeta dialettale calabrese. E lui usava i versi dialettali, immediatamente comprensibili dalla gente, per portare avanti la suabattaglia contro tutte le forme di autoritarismo, contro la violenza dellInquisizione che aveva costretto alla fuga verso Napoli gli intellettuali cosentini, mentre altri erano finiti in carcere.
La battaglia la faceva con coraggio, a viso aperto, usando gli strumenti (apparantemente innocui) della poesia, in particolare quella erotica e sensuale che i giovani del tempo non vivevano come pornografia, ma come piacevole eavvincente forma di coinvolgimento, in contrapposizione al potere dellepoca che schiacciava il popolo, il mondo delle arti e della cultura esoprattutto i giovani.
In una delle sue opere più riuscite, La cunneide, vi si trova lessenza della poesia di Piro insieme alla consapevolezza che è lamore, il rapporto carnale in tutte le sue esplicite forme, a muovere i destini del mondo. Per questo si sono fatte guerre, sono crollati regni e regimi,sono nati e finiti rapporti sociali e di potere.
Alcuni versi di don Piro:
Vedove, maritate e nubili io prendo,
affamate, ricche, nobili e farabutte,
e giovincelli, vecchie, belle e brutte come unnibbio.Lanera e la brutta mi danno conforto,
la bianca e la rossa mi fanno innamorare,
e spesso mi eccita la faccia smorta.
Chine mantena la gente e le Regine?
Chine fa tanti Papi e Cardinali?Tanti rè, mperaturi, e Uffiziali?
Cchiù ca la fregna!
I versi di Piro sono chiaramente un inno alla vita, allamore.
Una rivoluzione culturale in unepoca di odio, vendetta e sangue!
Del resto, cosa poteva fare quel giovane, brillante e colto prete calabrese, davanti ad un potere che toglieva anche il respiro, davanti alla povertà che cancellava la vita stessa delle persone, davanti alle devastanti catastrofi naturali che nel 700 sconvolsero la Calabria?
Don Domenico pensava ai giovani, ai suoi ragazzi privati di tutto, troppo spesso vittime del potere, della fame, dellodio e provava a dar loro coraggio, anima e speranza. Lunico modo per farlo erano quei suoi versi dialettali che inneggiavano allamore fisico e chiaramente al sesso. Uno di questi versi ha una potenza vitale incredibile, quasi un grido di amore, un inno alla gioia, a godere il piacere della carne, senza pensare al generale clima di miseria, odio e vendetta imperante:
Perciò fottete voi ora ragazziscialativila ccu sti cunnarizzi
sciaquativielli vue sti cugliunazzie
a Venere attribuite le conseguenze.
Tirate su e ungeteli questi cazzi
chiantati corna ppi tutti ti pizzi
jati gridannu ppe tuttu lu munnu
viva lu cazzu, lu culu e lu cunnu!
I componenti poetici di don Domenico Piro, giunti fino a noi, sono:
Lu murmuriale, La pruvista, La Cazzeide, La cunneide.
Cè anche Fratemma dice ca un vale luoru, dove emerge tutto lamaro per le condizioni di miseria in cui erano costretti a vivere poeti e letterati che, in quellepoca, erano anche inseguiti e minacciati dai potenti e dallInquisizione.
Don Domenico, duonnu Pantu, merita un posto fra i poeti di questa terra, per essere stato il primo poeta dialettale, un uomo che ha fatto della lotta allodio e alla tragedia, una potente poesia di amore sacro e amore profano!
Franco Laratta
Luca Altomare
S.p.E.