Dobbiamo costruire un mondo all’altezza dei sogni che abbiamo
Ogni volta in cui, crescendo, avrai voglia di cambiare le cose sbagliate in cose giuste, ricordati che la prima rivoluzione da fare è quella dentro se stessi, la prima e la più importante. Lottare per un’idea senza avere un’idea di sé è una delle cose più pericolose che si possano fare.
Si legge questo nel profilo facebook di Mariagrazia Bevacqua , studentessa ventunenne in Giurisprudenza. Una ragazza seria, impegnata, che condivide con gli amici le speranze, le passioni, la voglia di cambiare questa terra che sembra sempre più ostile alle nuove generazioni. La voglia di cambiare, la voglia di rimanere.
Il futuro, la speranza, le illusioni.
Nel mio percorso da studentessa e da cittadina, ho avuto modo di conoscere le persone che “sperano” e quelle che “credono” nel futuro. La differenza è sostanziale: si può scegliere se sperare in un futuro migliore, e quindi aspettare passivamente che qualcuno realizzi i nostri desideri. O credere, mettendo in gioco tutte le nostre forze affinché ciò che vogliamo diventi realtà. Ho sempre sentito di appartenere alla seconda categoria: credo, credo fermamente. Credo che la politica possa essere nient’altro che un servizio, e non al servizio del potere. Credo che nella società in cui viviamo, il dono abbia ancora un valore aggiunto. Credo che, al di là degli interessi, esistano dei legami. Credo. E non perché vivo di illusioni. Ma perché non voglio smettere di pensare che un mondo “all’altezza dei sogni che abbiamo” possiamo costruirlo, mattone dopo mattone, come una casa sulla roccia.
Non abbiamo bisogno di grandi uomini. Abbiamo bisogno di gente più onesta.
Il nostro Paese si affanna nella costruzione della società, cade, tenta di rialzarsi ma lascia degli spazi vuoti, crepe nel cemento che non permettono alla struttura di ergersi solida e imponente. E proprio in quelle crepe che si insidiano i furbi, gli affaristi. Coloro che utilizzano la società come una scala per raggiungere la vetta più alta del potere, calpestando valori e principi. Per crescere, soprattutto in una terra come la Calabria, ricca di risorse e di potenzialità, non abbiamo bisogno di grandi uomini. Abbiamo bisogno di gente più onesta. Davvero pensano che sia la crisi economica a farci paura? Ci fa paura la morte, quella morte che è la negazione della dignità, della felicità, della libertà. Legalità e giustizia perdono terreno, brancolano nel buio. Un uomo non potrà mai considerarsi libero se per libertà intende seguire alla cieca i propri istinti, fare dei propri interessi il perno dell’esistenza, negando spregiudicatamente la libertà altrui. Saremo veramente liberi quando anche i poveri, gli esclusi, quelli che “se non sono gigli, son pur sempre figli, vittime di questo mondo” diceva De Andrè, saranno liberati. Perché la libertà non è, non può essere individuale. C’è libertà quando si scambia l’IO col NOI, quando si lotta per il bene difficile contro il male facile; libertà è la partecipazione dell’intera collettività alla buona riuscita della costruzione della società.
La prima rivoluzione da fare è quella dentro se stessi, la prima e la più importante.
Costruire, quindi. Ma partendo da dove? Dalle cose più semplici, che sono le più grandi. Ma soprattutto, partendo da noi stessi. Oggi, rappresentare un’alternativa non è poi così difficile: basta essere se stessi per fare la differenza, per dimostrare che qualcosa di buono esiste. Basta l’esempio, l’azione, la testimonianza, per spronare molti ragazzi come me a mettere a servizio le proprie idee. Ma cos’è che scoraggia i giovani in tutto questo? Perché l’attitudine all’interesse comune, che dovrebbe essere intrinseca nella natura umana (l’uomo è un animale politico) finisce per esaurirsi proprio nei giovani, che dovrebbero essere il fuoco ardente della società?
I sudditi che diventano cittadini.
Finché le nuove generazioni non riusciranno a sganciarsi dall’ottica degli stereotipi, dei favoritismi, del clientelismo, dell’opportunismo, la politica non sarà che uno sporco mezzo, piuttosto che un nobile fine. Cosa possiamo fare? Reagire. Trovare e far trovare gli stimoli giusti, la giusta motivazione. Recuperare l’idea di partito come luogo di discussione e formazione, zona di dialogo aperta al confronto. Ma soprattutto, in un momento storico difficile quale è il nostro, partire dalle scuole, dalle università, i luoghi in cui si insegna la cittadinanza attiva, in cui i sudditi diventano cittadini, diceva Calamadrei. I luoghi in cui si parla di futuro. Il futuro riparte dai giovani solo se avranno la possibilità di scegliere la Calabria, l’Italia, non solo come punto di partenza e meta d’arrivo, ma come percorso: cogliere e mettere in gioco le opportunità che questa terra ci offre. Un progetto ambizioso che vuole partire proprio dall’università, che, se messo in atto coraggiosamente da tutti gli studenti, non è solo un progetto politico, ma soprattutto di riscatto sociale per la nostra terra.
Avere vent’anni ai tempi del terrorismo, del fondamentalismo e della paura.
La parola futuro si ferma sulle labbra, cambia forma, smette di essere una promessa per diventare una minaccia. Ma proprio perché abbiamo vent’anni, non possiamo accettare ciò. È per questo che imbracciamo le nostre armi: le armi della cultura e della tolleranza, le uniche armi con cui è possibile scavalcare le diversità, le barriere politiche e infrangere il buio delle frontiere culturali e territoriali.
Mariagrazia è tutta grinta e dolcezza. Speranza e lotta. Una ragazza che si batte per questa terra, ben sapendo che non è esattamente una terra per giovani. Ma lo fa senza inutili battaglie ideologiche o generazionali: “Ho imparato che il ricambio generazionale non è per forza ricambio anagrafico. S’incontrano, troppo spesso, “giovani vecchi” asserviti al potere”. E non è una ragazza che molla facilmente: “Restare in Calabria è la parola d’ordine. Restare per cambiare”.